Alla Borsa di Chicago, mercato di riferimento per questi prodotti, il contratto future sul riso è aumentato del 63% da gennaio, forti incrementi si sono avuti anche per il frumento
e il mais. I prezzi crescono a causa della domanda, che rimane sostenuta nonostante il rallentamento della congiuntura internazionale, e del graduale esaurimento delle scorte. Un altro fattore che crea squilibrio tra richiesta e offerta è l’utilizzo di alcuni prodotti per finalità diverse dall’alimentazione umana. Ad esempio, il mais viene impiegato per creare etanolo combustibile (in America l’80% delle coltivazioni ormai è di questo tipo).
Nel primo trimestre, l’indice delle materie prime DJ-AIG Commodities è salito del 9,6%, contro una performance negativa dell’S&P500 (-9,9%) e del DJ EuroStoxx50 (-10,6%). Ma guardare solo ai rendimenti non è una via saggia per decidere se investire in questo settore. Anche perché tanto quanto salgono rapidamente, posso altrettanto velocemente scendere. Lo scorso 20 marzo, ad esempio, l’indice Reuters/Jefferies CRB sulle risorse naturali ha registrato il peggior declino da quanto è stato creato cinquant’anni fa. E’ bastato, infatti, un aumento delle preoccupazioni sulla recessione negli Stati Uniti e la decisione di alcuni hedge fund di smontare le posizioni sulle materie prime per alimentare un’ondata di vendite.
Quale lezione trarne? Innanzitutto, è bene ricordare che alle probabilità di ottenere elevati guadagni in poco tempo si accompagna un’altrettanto alta possibilità di incorrere in perdite. In secondo luogo, si tratta di strumenti molto specializzati e complessi, il cui rendimento non dipende solo dall’andamento dei prezzi delle materie prime, ma anche dall’attività di sostituzione dei contratti future in scadenza (indispensabile per poter mantenere la posizione sul sottostante) e dal rendimento del collaterale (l’acquisto di un future non richiede alcun investimento se non il mantenimento di un margine che però è anch’esso remunerato). Jeff Ptak, direttore delle analisi sugli Etf di Morningstar, invita alla massima prudenza l’investitore “comune” che si avvicina a questi strumenti: se si vuole diversificare nel settore delle commodity, meglio scegliere un Etf o Etc che offre l’esposizione all’intero indice e non a un solo prodotto. Inoltre, è bene destinare una piccola percentuale del portafoglio, comunque non superiore al 5%. (Come orientarsi tra gli Etf sarà oggetto di un convegno dell'ITForum '08 di Rimini, la fiera del trading e dell’investimento, il prossimo 15 maggio).
Molti sono convinti che sia un buon momento per investire non solo nei prodotti agricoli ed alimentari, ma anche nei Paesi emergenti asiatici, africani e latino-americani che sono grandi esportatori. Bisogna, però, stare attenti a non farsi accecare dalla prospettiva di facili guadagni. In un recente articolo sull’International Herald Tribune, Pranab Bardhan, professore di economia all’Università di California, ha spiegato che non in tutte le nazioni povere i flussi di capitali si tradurranno in sviluppo e miglioramento delle condizioni di vita. La situazione è analoga a quella del boom petrolifero degli anni ’70, quando Paesi come l’Indonesia ne hanno approfittato per investire in infrastrutture, istruzione e diversificazione industriale, mentre altri come la Nigeria non ne sono stati capaci. Un confronto simile, nel settore agricolo, si potrebbe fare tra il Vietnam, che sta destinando molti soldi allo sviluppo, e la Thailandia, dove sono in pochi a beneficiare della nuova ricchezza.
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