Nel 2012, gli investitori europei in fondi hanno sposato le obbligazioni, assaporando il rischio con quelle emergenti e high yield. Secondo le statistiche Morningstar, i flussi netti stimati (calcolati come differenza dei patrimoni netti, tenuto conto dei rendimenti del periodo) sono stati di circa 158 miliardi di euro e hanno contribuito per il 90% alla raccolta totale. Come il 2011, è stato un altro anno da dimenticare per i fondi azionari, con l’eccezione di quelli specializzati sulle aree in via di sviluppo, mentre i bilanciati hanno riscontrato una crescente popolarità e i monetari hanno ripreso quota (tutti i dati sono al 30 novembre 2012).
Cosa dicono gli indici
L’andamento degli indici azionari, però, ci rivela tutta un’altra storia. L’Msci Asia-Pacifico (escluso il Giappone) ha guadagnato circa il 20%, seguito a poca distanza da quello europeo. Il benckmark azionario mondiale si è attestato al 14% e quello italiano leggermente al di sotto. E’ stato un anno magro per l’America latina e il Sol levante.
Non è paragonabile al trend dell’indice azionario globale quello del Barclays global aggregate, che ha reso un magro 2,7%. Decisamente meglio hanno fatto l’indice BofAML sugli high yield (+17,5%), il Jpm sui mercati emergenti (+16,3%) e il Barclays sui corporate bond in euro (13,6%). Scegliendo i fondi specializzati sui bond più rischiosi, dunque, gli investitori non sono rimasti a bocca asciutta; al contrario hanno appagato il desiderio di rendimenti superiori a quelli dei titoli governativi. Hanno, tuttavia, accettato una volatilità (misurata dalla deviazione standard), in linea o superiore a quella delle Borsa mondiali (Msci World).
Azioni, il peggio alle spalle
Ad agosto, abbiamo scritto che il culto delle azioni stava morendo e i numeri complessivi degli ultimi due anni lo testimoniano. Nell’ultima parte del 2012, tuttavia, c’è stato un timido ritorno degli investitori in Borsa (per approfondimenti, leggi l’articolo Virata azionaria). I prossimi mesi diranno se è un trend duraturo, quello che è certo è che l’ultimo anno non è stato dominato dal panic-selling, come invece era accaduto nel 2011.
E’ un dato di fatto, tuttavia, che negli ultimi cinque anni le preferenze degli investitori europei sono cambiate. Mentre il patrimonio in gestione dei fondi obbligazionari è quasi raddoppiato, quello degli azionari è rimasto stagnante.
Profondo rosso per gli italiani
La fotografia del mercato del risparmio gestito italiano non si discosta molto da quella europea. Diverso è il quadro per i soli fondi di diritto italiano, che hanno registrato flussi netti in uscita per circa 14 miliardi. Ad eccezione dei monetari, tutte le categorie hanno chiuso in rosso. A livello di singoli prodotti, è stato l’anno di quelli a cedola, che sono molto simili alle obbligazioni, e di quelli specializzati sui titoli di stato domestici, che sono stati lanciati nel corso del 2012. Tra le case di investimento, le più colpite dai riscatti sono state le grandi, prime fra tutte Eurizon Capital, Ubi e Anima. Le migliori per raccolta sono state Arca, Epsilon ed Ersel.
Dopo un biennio da dimenticare, Piazza affari è tornata in positivo, ma gli investitori sono rimasti alla larga, con l’eccezione di gennaio, giugno e settembre. Ha colto bene il rally chi è entrato prima dell’estate, perché successivamente il listino milanese ha beneficiato dell’attenuazione dei timori sul debito sovrano e del minor rischio politico, ignorando, però, la situazione congiunturale recessiva.
Per l’industria dell’asset management italiana, la più grande sfida è il risparmio che diminuisce sempre più. Come emerge dal Primo osservatorio Unicredit - Pioneer Investments, dal 1995 al 2011, quello delle famiglie si è dimezzato. Tradotto in termini di percentuale del reddito disponibile significa una discesa dal 16,8% (valori netti) al 4,3% con una previsione del 3,2% per il 2012.
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