Venti anni fa, negli Stati Uniti, Spdr lanciava il primo Etf sull’indice S&P 500, con 6,5 milioni di dollari in gestione e commissioni totali pari allo 0,30%. Oggi, lo stesso Etf gestisce 123 miliardi di dollari e costa 0,09% ai sottoscrittori. Pochi dati che offrono un’idea di quanto sia cambiato il mercato dei replicanti, che muove quasi due miliardi di dollari globalmente.
In occasione del ventesimo anniversario, State Street Global Advisor ha effettuato un sondaggio tra 300 investitori istituzionali europei (gestori attivi e fondi pensione) per cercare di delineare i trend futuri di un’industria che è cresciuta molto in termini di asset, di prodotti quotati e di classi d’attivo replicate, ma che ha davanti a sé ancora ampi margini di miglioramento.
“Nonostante il forte aumento a livello patrimoniale, il mercato europeo dei replicanti viaggia ancora a livelli modesti se confrontato con quello americano”, commenta Olivier Paquier, responsabile Etf Spdr per la Francia. “Nel Vecchio continente, infatti, solo una piccola percentuale del patrimonio totale è investito in Etf, ed è proprio per questo che le prospettive di crescita sono molto promettenti e il nostro sondaggio lo conferma”. Per Danilo Verdecanna, managing director di Spdr per l’Italia, “In Europa il mercato degli Etf è nato e continua a essere soprattutto per gli istituzionali, a differenza dell’America dove è stato sin da subito aperto al retail. I margini per crescere quindi non mancano, anche perché i replicanti hanno dimostrato di non avere mai avuto problemi, neppure quando messi sotto i riflettori da polemiche e timori.”
Più spazio in portafoglio
Secondo l’indagine, il 39% dei gestori fondi attivi e degli operatori dei fondi pensione europei intervistati ha dichiarato di non avere Etf in portafoglio, mentre il 32% dedica ai replicanti meno di un decimo, il 13% tra il 10 e il 20% e il 3% tra il 20 e il 30% della propria asset allocation. Solo l’1% impiega Etf per più del 50% del portafoglio. Percentuali che potrebbero sembrare non troppo positive, soprattuto se si conta che in Europa, a differenza che negli Usa, la stragrande maggioranza degli Etf viene utilizzata proprio dagli investitori istituzionali.
Tuttavia, il sondaggio rivela che il 46% degli intervistati ha intenzione di aumentare la propria allocazione in Etf nei prossimi cinque anni, mentre solo il 2% ha dichiarato che la diminuirà. Se discriminiamo i fondi pensione dagli active fund managers, alcune differenze sono sensibili in termini di percezione e utilizzo dei replicanti. I primi, per l’80%, dichiarano di avere un’esposizione del 20% o meno del loro patrimonio gestito impiegato in Etf e il 47% di loro è convinto di aumentarne il peso in futuro, contro solo l’1% che dice al contrario che lo ridurrà. I gestori dei fondi attivi sono invece più capillari in termini di impiego (il 97% di loro li utilizza), ma se coloro che hanno intenzione di incrementare l’allocazione in Etf negli anni a venire è simile (42%), quelli che dicono che la diminuiranno è superiore (8%).
L’Etf piace tattico
Il sondaggio ha analizzato anche l’utilizzo che gestori e operatori fanno degli Etf nella gestione attiva. Dati alla mano, il 57% del campione usa i replicanti in chiave tattica per accedere a specifici segmenti di mercato. Il 18% li usa per coprire la parte satellite del proprio portafoglio e il 16% per quella core.
Per quanto concerne poi i motivi che spingono i gestori a utilizzare gli Etf, ai primi posti si collocano i costi ridotti (46%), la liquidità (44%), e l’accesso a mercati difficili (34%). Seguono, poi, la diversificazione (30%), la trasparenza (22%), la flessibilità (18%) e altri motivi accessori (5%).
“Proprio l’accesso ai mercati di nicchia è stata storicamente la ragione principale del successo degli Etf, specialmente nei primi tempi”, ha infine concluso Elio Manca, direttore del trading Etf di Knight Capital Europe. “È quindi interessante notare come oggi, invece, i costi ridotti e le esigenze di liquidità vengano prima per gli investitori istituzionali, e il recente boom dei prodotti a reddito fisso ne è la prova”.
Valerio Baselli ha contribuito alla stesura dell'articolo.
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