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Dal rischio-Paese al rischio-pensioni

La prima riforma del sistema previdenziale risale al 1993. Ne sono seguite molte altre, tutte con il carattere dell’urgenza, lasciando i lavoratori disorientati. 

Sara Silano 21/03/2013 | 11:59
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Vent’anni fa, il governo italiano con a capo Giuliano Amato varava la prima riforma del sistema pensionistico. L’Italia era stata messa in ginocchio dall’attacco speculativo alla lira e i conti pubblici rischiavano di andare fuori controllo. La risposta fu una manovra da 93 mila miliardi di vecchie lire, la più imponente mai realizzata fino ad allora e la spesa previdenziale non poteva rimanere esclusa.

Da allora, i lavoratori hanno assistito a un succedersi di interventi correttivi, fino all’ultima “riforma Fornero”, rimanendone spesso disorientati. I punti principali sono stati l’innalzamento dell’età richiesta per la pensione e dell’anzianità contributiva, l’allineamento dell’assegno pubblico all’ammontare dei contributi versati durante tutta la vita lavorativa, oltre che alla crescita del Prodotto interno lordo e alla speranza di vita al momento del pensionamento. Inoltre, la rivalutazione è calcolata solo sulla base del tasso di inflazione e non più tenendo in considerazione il salario nominale.

Un magro assegno
Il risultato è un tasso di sostituzione (rapporto fra la prima annualità di pensione e l’ultimo reddito da lavoro) più basso e non in grado di garantire un adeguato tenore di vita post-lavorativa. Un rischio, che ora è completamente in capo agli individui, i quali possono ridurlo aderendo alla previdenza complementare, che però fa fatica a decollare.

Al di là del difficile contesto economico-finanziario e delle politiche di austerità fiscale, che erodono i redditi delle famiglie, lasciando poco o nulla per il risparmio, quello che sembra mancare è la percezione del “rischio previdenziale”. Come emerge da un recente documento di consultazione della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), questo rischio ha due componenti, la prima legata alle prestazioni obbligatorie, la seconda a quelle integrative.

I rischi del sistema pubblico
Il sistema pubblico è finanziato a ripartizione ed eroga le prestazioni secondo il regime della contribuzione definita. Il montante accumulato è rivalutato in base alla media mobile quinquennale del tasso di crescita del Prodotto interno lordo e, al momento del pensionamento, viene convertito in una rendita vitalizia il cui ammontare dipende dall’evoluzione della longevità. “Vi sono dunque sia rischi legati all’andamento dell’attività economica domestica sia rischi di longevità”, si legge nel documento. “A questi si aggiungono rischi di natura politica connessi a mutamenti inattesi (a dire il vero frequenti negli ultimi vent’anni, Ndr) delle regole di funzionamento del sistema”.

… e di quello complementare
La previdenza complementare comporta rischi differenti secondo della forma scelta. Nei piani a contribuzione definita l’iscritto deve scegliere il profilo di investimento, l’ammontare di contribuzione, i costi e la modalità di fruizione della prestazione. In tal caso, ci sono da mettere in conto la volatilità degli investimenti, l’inflazione, la possibilità di perdere il lavoro o interrompere la carriera e la longevità. Nei piani a prestazione definita, invece, l’entità di quanto percepito è stabilito nelle condizioni di partecipazione, in base ai redditi percepiti durante l’intera carriera. Dunque, il rischio di inadeguatezza della prestazione è legato alla solvibilità del piano, che deve essere assicurata dall’impresa sponsor.

Qualche stima
La Covip ha pubblicato nel 2008 delle disposizioni in merito al “Progetto esemplificativo: stima della pensione complementare”.  L’obiettivo è di mostrare agli iscritti una proiezione futura della prestazione attesa, realizzata sulla base di una serie di ipotesi definite dall’Autorità. Questo strumento consente di valutare l’impatto dei diversi fattori di rischio sull’entità della pensione attesa sia nella fase precontrattuale, sia nel corso del rapporto di partecipazione, fornendo al lavoratore utili indicazioni per l’adozione e il monitoraggio del piano previdenziale. Con il suo recente documento di consultazione, la Commissione intende confrontarsi con gli operatori del settore, il mondo accademico e quello scientifico per poter dare al mercato indicazioni più precise sulla rappresentazione di questo rischio.

Poca chiarezza
Il succedersi di riforme negli ultimi vent’anni ha generato tra i lavoratori mancanza di chiarezza, incertezza e quasi rassegnazione all’idea di “non avere una pensione” al termine della vita lavorativa. Non ha però fatto decollare la previdenza complementare. Perché ciò accada occorre far percepire il rischio legato alla perdita del tenore di vita nel caso non ci sia un’adeguata integrazione dell’assegno pubblico. E’ necessario, inoltre, che i lavoratori possano avere una reale rappresentazione del rischio/opportunità degli strumenti integrativi. L’urgenza delle riforme, dettata dal dover mettere in sesto i conti pubblici, ha fatto perdere di vista le opportunità del cambiamento, in termini, ad esempio, di assorbimento degli shock, lasciando i lavoratori soli nel gestire un rischio, quello previdenziale, di cui non hanno esperienza perché le generazioni precedenti non hanno dovuto affrontarlo.

Il tema è oggetto di un convegno dal titolo “I fondi pensioni: quali prospettive e opportunità”, promosso oggi da Cdaf e Andaf all’Unione industriale di Torino. Tra gli altri, partecipa Elsa Fornero, Ministro del lavoro del governo Monti.

Leggi Morningstar Investor di luglio/agosto 2012 per saperne di più sulla riforma Fornero.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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