Viviamo tempi di bassi tassi di interesse e gli obiettivi finanziari sono sempre più un miraggio. I target di rendimento di un tempo si raggiungono solo se si rischia di più. Viceversa, se si decide di rimanere sulla difensiva, è spesso difficile salvaguardare il patrimonio persino dall’inflazione. Quello tra rischio e rendimento è un rapporto che procura notti insonni a molti investitori.
Gestire il rischio
La diversificazione è sicuramente un potente strumento in mano al risparmiatore, che funziona circa il 90% delle volte. Harry Markowitz, premio Nobel per l’economia nel 1990 e padre della Moderna teoria di portafoglio, aveva coniato l’aforisma “Non mettere tutte le uova nello stesso paniere”, che descrive efficacemente i pericoli insiti nella concentrazione del portafoglio. Successivamente, i modelli si sono evoluti e continuano ad essere rivisti e affinati. In particolare, negli ultimi quindici anni i mercati finanziari sono profondamente cambiati e sono aumentati gli shock.
L’anno scorso abbiamo presentato su Morningstar Investor, la versione 2.0 di Markowitz elaborata dai nostri ricercatori, che incorpora diversi strumenti per una migliore gestione del portafoglio, tra cui nuove misure di rischio, che tengano conto dei cosiddetti “cigni neri”. Altri centri di studio hanno messo a punto nuovi modelli, tra cui recentemente il laboratorio Risklab di Allianz Global Investors. Quattro sono le fondamenta della loro proposta: aumentare l’esposizione media agli asset rischiosi, aggiungere fonti di valore (alpha) non correlate con le classi di attività tradizionali, diversificare, contemplando le situazioni estreme, e gestire la volatilità in maniera dinamica. In questo modo, spiega Reinhold Hafner, Responsabile investimenti di AllianzGI Global Solutions, è possibile avere un potenziale di ritorno che consenta di raggiungere gli obiettivi prefissati e nello stesso tempo ridurre le probabilità di perdita.
Pro e contro
L’alpha, in particolare, assume rilevanza in un mondo di rendimenti bassi, ma è importante valutare la sua sostenibilità nel tempo. La gestione del rischio, inoltre, deve essere fatta combinando componenti pro e anti-cicliche. L’utilizzo di derivati può renderla più efficace sotto il profilo dei costi, ma, in tal caso, è bene evitare il fai-da-te, data la complessità di questi strumenti.
Tutti i modelli hanno pro e contro e non possono essere considerati disgiuntamente dal contesto di mercato, che è, per definizione, mutevole. Si pensi, ad esempio, alla maggiore attenzione al rischio dopo gli shock di mercato degli ultimi quindici anni. Hanno, tuttavia, il vantaggio di definire delle regole e un modo di agire sistematico, meno soggetto alle emozioni.
Bicchiere mezzo pieno (o vuoto)
Il contesto attuale è particolarmente sfidante. Fino a metà maggio gli investitori hanno acceso il rischio (risk on), puntando sulle azioni, poi il sentiment è cambiato per i timori della fine della politica ultra-accomodante della Federal Reserve a cui si sono aggiunte le cattive notizie provenienti dalla Cina. Negli ultimi due mesi, tuttavia, i mercati ci hanno abituato a letture differenti dei dati macro. La stessa prospettiva di una svolta della Banca centrale americana, se in un primo momento ha portato a un’ondata di vendite, successivamente è stata vista come indicatore di un’economia in fase di rafforzamento. Un discorso simile vale per l’ex celeste impero, dove la carenza di liquidità sembra voluta dall’istituto centrale per limitare l’eccessivo ricorso al credito.
Occhio alla pensione
Le sfide non sono solo nel breve termine. E’ necessario considerare anche i trend soci-demografici di invecchiamento della popolazione nelle economie mature. Nei prossimi anni, infatti, andranno in pensione tante persone, per le quali il periodo post-lavorativo durerà più del doppio di quarant’anni fa. Per queste ragioni, pericoli come l’inflazione o il rialzo dei tassi di interesse non possono essere sottovalutati.
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