Se ne parla ormai da alcuni anni, anche se ci è voluta la crisi di Cipro per smuovere davvero le cose. Si tratta del progetto di unione bancaria europea, tema che i capi di governo hanno affrontato durante il loro ultimo incontro a Bruxelles poche settimane fa, il quale ha sancito decisi passi in avanti verso una maggiore integrazione. D’altra parte, le banche sono la fonte principale di finanziamento dell’economia, perciò godono da sempre di un trattamento speciale riguardo ai fallimenti o comunque alle crisi di liquidità.
Mai più sulle spalle dei contribuenti
Il progetto di unione bancaria si articola su tre pilastri: la supervisione unica, la ricapitalizzazione diretta degli istituti e la garanzia sui depositi. In realtà, si è trovato un accordo solo sui primi due punti, mentre il terzo resta, per ora, ancora di competenza nazionale.
In sintesi, il meccanismo funzionerebbe in questo modo: la Banca centrale europea, supervisore delle quasi 6.000 banche del Vecchio continente (in realtà la Bce supervisionerà direttamente solo quelle con oltre 30 miliardi di euro di attivi, circa 140 istituti, mentre per le altre il controllo resterà nazionale, con la possibilità per la Bce di intervenire qualora necessario; questo è stato fortemente voluto dalla Germania), segnalerà quando una banca si trova in difficoltà. Poi, un’agenzia, formata dalla Bce, dalla Commisione europea e dalle autorità nazionali del paese della banca in crisi, preparerà il fallimento ordinato dell’istituto. Questa agenzia avrà ampi poteri e prenderà le decisioni principali sulle modalità del default.
A questo punto, scatterebbe il salvataggio da parte delle autorità europee. La malagestione della crisi cipriota ha messo in luce la mancanza di un paradigma da seguire in queste situazioni. L’accordo stabilisce, infatti, una serie di paletti imprescindibili per poter usufruire del fondo di salvataggio, col principio di far pagare soprattutto i soggetti privati e non più i contribuenti. I primi a dover sopportare le perdite saranno quindi gli azionisti, seguiti dai creditori e dai depositanti (solo per depositi superiori ai 100.000 euro), per un minimo pari all’8% delle passività. Dopo di che il governo potrà intervenire per coprire fino a un altro 5% dei debiti. Solo allora, la banca potrà richiedere l’utilizzo del fondo salva Stati Esm (European stability mechanism), con un limite massimo di 60 miliardi di euro.
Scontro franco-tedesco
Tutto chiaro e deciso, dunque? Non proprio. Nonostante le linee guida siano più o meno condivise da tutti, resta la divisione sulle modalità di esecuzione del fallimento ordinato. A scontrarsi ci sono due blocchi: quello guidato dalla Germania, che vorrebbe regole chiare per tutti e che si trova contrario a un fondo unico per tutte le banche europee (anche per paura di veder il proprio sistema nazionale prosciugarsi per salvare altri sistemi in crisi), e quello guidato dalla Francia, che chiede una maggiore flessibilità nella scelta di chi deve pagare il conto e una maggiore mutualizzazione del rischio.
Chiamata dal Fmi
L’unione bancaria non è un passaggio che interessa solo l’Europa, ma tutta la comunità economico-finanziaria. La prova arriva anche dall’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale, il cui maggiore destinatario è senza dubbio la Bce. Nel report si parla chiaramente di “unione bancaria da costruire in fretta”, suggerendo le coordinate di un piano teso a garantire i depositi e a proteggere le banche troppo grandi per fallire. Una completa unione bancaria, per il Fmi, deve avere tre componenti: supervisione comune delle istituzioni più grandi, assicurazione comune sui depositi e accesso alle risorse per le banche in difficoltà.
Un passo importante contro la crisi
“Accettare di rinunciare alla propria sovranità bancaria è un passo importante, soprattutto dopo aver già rinunciato alla sovranità monetaria e in parte di bilancio”, si legge in una nota a cura di Eric Chaney, capo economista di AXA IM. “Tuttavia, siamo convinti che la restaurazione di regole chiare e di garanzie definite possa davvero creare le condizioni per una ripresa duratura. Al contrario, un eventuale fallimento del progetto di unione bancaria potrebbe aumentare il periodo di recessione, creando anche tensioni sociali e alimentando sentimenti anti-europeisti”. Una situazione in cui nemmeno le politiche adottate fin qui dalla Bce per sostenere l’euro potrebbero bastare.
“Il meccanismo di salvataggio (in vigore da settembre 2014 ndr) è, ovviamente, il frutto di un compromesso fra diversi interessi, ma consideriamo tale accordo come ragionevole e un buon primo passo”, prosegue la nota. “D’altronde, se la crisi giapponese ci ha insegnato qualcosa, è che le autorità devono agire senza esitazione per restaurare la salute delle banche”.
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