La crisi finanziaria del 2008 ha lasciato in eredità una maggior correlazione tra i mercati. Secondo un’analisi di Morningstar, nell’ultimo quinquennio il rapporto tra l’indice Msci US broad market, preso a riferimento per il mercato americano, e l’Msci sugli emergenti è stato di 0,86, mentre nel periodo 2003-2008 era di 0,74 (più un valore si avvicina a uno, maggiore sarà la correlazione, più si avvicina a meno uno e minore sarà il grado con cui due titoli si muovono insieme).
Nello scenario post-crisi, azioni e obbligazioni si comportano spesso nello stesso modo, mentre in precedenza la correlazione era negativa. Un discorso analogo vale per le materie prime. L’indice Dj Ubs Commodity ha un rapporto con l’Msci US pari a 0,74 (era 0,13 prima del crack di Lehman Brothers).
Va di scena il rischio
Azioni e obbligazioni sono oggi soggette allo stesso ciclo di risk on/risk off (letteralmente accensione e spegnimento del rischio). Questo significa che se gli investitori sono ottimisti, puntano sugli asset più volatili, siano essi obbligazioni ad alto rendimento o titoli azionari. Viceversa, quando prevalgono gli scenari negativi, cercano classi di attività sicure, siano esse Bund tedeschi o azioni high dividend. Dopo la crisi del 2008, le strategie di investimento sono diventate molto più orientate al rischio. Un’indagine, condotta da Allianz Global Investors su circa 400 istituzionali in tutto il mondo, ha messo in luce che è forte la consapevolezza dei pericoli derivanti dalle politiche monetarie ultra-accomodanti degli ultimi cinque anni, tanto che la principale preoccupazione è l’aumento dei tassi di interesse e quindi la fine del “denaro facile”.
Azioni e commodity
E’ più complesso il cambiamento nella relazione tra le azioni e le materie prime. Per Alex Bryan, analista di Morningstar, le cause vanno ricercate nella stretta al credito, tipica di periodi di shock come la crisi del debito nell’area euro, che danneggia sia l’economia reale, facendo diminuire la domanda di risorse naturali, sia i mercati azionari. Un’altra ragione può essere l’aumento dell’investimento in commodities, resa possibile dagli Etc (strumenti indicizzati che permettono anche ai privati di accedere a questa asset class).
Nessuna grande rotazione
In seguito all’aumento delle correlazioni, gli investitori hanno messo in discussione la validità del principio di diversificazione. Per quale ragione costruire un portafoglio con azioni, obbligazioni e materie prime se tutte le classi di attività si muovono nello stesso modo? Per gli analisti di Morningstar, tuttavia, questo principio mantiene la sua efficacia, anche se non funziona più così bene come in passato.
In particolare, i dati mostrano come la relazione tra azioni e bond di alta qualità rimanga bassa. Per questa ragione, nonostante i timori per un rialzo dei tassi, pochi credono in una “grande rotazione” dalle obbligazioni alle azioni. In una recente ricerca di Morgan Stanley, gli autori sostengono che probabilmente i “giri di portafoglio” saranno molto meno consistenti rispetto alle attese. “La nostra analisi su 89 mila miliardi di patrimonio gestito a livello mondiale rivela molti venti contrari”, dicono. “La riallocazione degli investitori istituzionali (circa il 60% delle masse totali) sarà caratterizzata al massimo da una neutralità per le azioni. Gli schemi pensionistici è probabile riducano l’esposizione all’equity e la regolamentazione di Solvency II indurrà le assicurazioni a ri-bilanciare i rischi su asset non azionari”.
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