Un consiglio per investitori dai nervi saldi: prestate più attenzione ai danni permanenti al vostro portafoglio piuttosto che a quelli più superficiali che derivano dalla volatilità degli investimenti. A dare questo suggerimento è William Bernstein, studioso della moderna teoria di portafoglio.
In effetti, ci va una certa maturità finanziaria per resistere alla tentazione di farsi guidare dal sentiment del momento. Siamo bombardati da commenti di mercato basati sul “qui ed ora”: le trimestrali, il Pil (Prodotto interno lordo) cinese o il tapering statunitense. Inoltre, le strategie consigliate da promotori e consulenti sono basate su teorie economiche che mirano a minimizzare il rischio (inteso come volatilità) e massimizzare il rendimento (per altro è questo il fondamento della Modern portfolio theory).
Quattro eventi che fanno paura
Bernstein invita a fare un passo in più e identifica quattro rischi ben più pericolosi per il portafoglio. Si tratta dell’iperinflazione (costo della vita molto elevato), di una severa deflazione (fenomeno opposto al precedente), di confische da parte del governo e di guerre o calamità.
Il rischio di deflazione è particolarmente elevato in Europa, dove la frenata dei prezzi è accompagnata dalla debolezza economica, dall’alto tasso di disoccupazione e dagli scarsi risultati delle politiche per ridurre il debito pubblico. E’ possibile che il Vecchio continente eviti di rimanere impantanato in una situazione cronica come quella che ha interessato il Giappone per circa quindici anni; ma gli investitori non possono sottovalutare un fenomeno che può danneggiare in modo permanente il portafoglio.
L’ultimo secolo di storia, tuttavia, ha visto prevalere la situazione opposta, ossia quella di iperinflazione. Si pensi ad esempio al periodo che va dal 1941 al 1981 negli Stati Uniti o, ancor prima, alla Repubblica di Weimar.
La magra figura dei bond
Di fronte a questi rischi, le obbligazioni non sono state la scelta migliore per gli investitori con un orizzonte temporale di lungo periodo. Da gennaio del 1941 a settembre del 1981 (periodo di inflazione elevata), i titoli di stato americani hanno perso il 67,3% del loro valore, facendo peggio della maggior parte delle Borse dei paesi avanzati. I bond di alta qualità possono fare la differenza in fasi di forte deflazione, ma il vantaggio è momentaneo, perché le azioni tendono comunque a recuperare in fretta il divario.
Alla luce di queste considerazioni, John Rekenthaler, vice president della ricerca Morningstar, titola un suo commento “Bonds, Be Gone”, letteralmente “State lontani dalle obbligazioni”, un’esortazione che può apparire forte in Italia, dove gli investitori sono tradizionalmente più esposti sul reddito fisso e dove manca una cultura del lungo termine. Il suo suggerimento è di ragionare proprio sull’orizzonte temporale. “Il 90% del mio portafoglio a lungo termine è in azioni”, dice. “Non ho bisogno di liquidità per questa parte di patrimonio e non sono preoccupato della volatilità di breve. Sono praticamente sicuro che l’equity farà meglio dei bond nei prossimi due o tre decenni”. L’affermazione può apparire un po’ forte e sicuramente non c’è nessuna certezza sul fatto che sarà così, ma le conclusioni a cui giunge Rekenthaler non andrebbero del tutto trascurate.
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