Scegliere un fondo specializzato sui paesi emergenti? Più facile a dirsi che a farsi. L’investitore si trova di fronte a diversi tipi di strumenti e deve essere consapevole, qui più che mai, che a profili di rischio diversi corrispondono prodotti differenti.
A livello europeo gli asset della categoria sono aumentati da inizio 2010 di circa 60 miliardi di euro, toccando i 151 miliardi di euro (dati a fine settembre 2013). Un andamento che ha stimolato il lancio di diverse strategie da parte delle società di gestione che, in soli tre anni, hanno quasi raddoppiato il numero dei prodotti portandoli da 228 a 425.
Il segmento, nel corso del tempo ha subito un’evoluzione: prima gli investitori concentravano il loro capitale in titoli di debito di paesi sovrani ed enti quasi sovrani dalla divisa forte (come l’euro e il dollaro americano). Anche perché, per anni, le emissioni da parte degli stati in via di sviluppo (considerati rischiosi) erano effettuate con queste denominazioni per cercare di sedurre gli investitori. Poi il vento è cambiato: molte di queste regioni hanno ripulito le loro finanze e stanno esercitando una politica fiscale e monetaria prudente e attenta. Ciò ha portato a mercati locali più solidi, che si è tradotto in un incremento della quota di fondi obbligazionari emergenti in valuta domestica (da 73 a 122 negli ultimi tre anni). Di pari passo sono aumentati anche quelli con focus sul debito emergente corporate.
Investitori a un bivio
Ma questi sviluppi (più fondi in valuta locale e più esposti al debito corporate) complicano la vita dell’investitore che mira a esporsi sui bond emergenti, ma che non sa come bilanciare rischi e rendimenti. Inoltre, la giovane età di molti strumenti in divisa locale e sul debito corporate non consente di avere una storia (track record) sufficiente per giudicarne la reale potenzialità e sostenibilità nel lungo termine.
Ecco perché, nonostante il recente boom, quelli denominati in valuta locale che continuano ad attrarre più capitale sono quelli più anziani, come il Pimco Emerging local bond. Gli analisti di Morningstar hanno un giudizio positivo (Silver) su questo comparto. Gestito da Michael Gomez, che collabora con Pimco dal 2003 ed è alla guida di questo prodotto fin dall’avvio, il comparto si mostra più conservativo rispetto ad alcuni concorrenti della stessa categoria. Il focus è sui paesi in grado di adottare misure politiche anti-cicliche nel caso di un rallentamento globale. Coerentemente con questo approccio, a marzo 2013 le esposizioni più importanti erano in Brasile, Messico e Sudafrica, tre paesi che hanno un rating di investment grade che rappresentavano più del 50% della duration del portafoglio contro appena il 35% dell'indice JPM GBI Em Global Diversified TR. Il fondo è meno esposto in paesi che, secondo il team, sono arrivati a un punto morto per quanto riguarda le riforme economiche, come Ungheria e Turchia.
Anche il debito corporate richiede prudenza. Un esempio arriva dall’MFS Emerging markets debt che, nell’ultimo anno ha spostato il suo raggio d’azione verso i bond societari. Il giudizio degli analisti Morningstar è sceso a Neutral. Il motivo è proprio il fatto che la strategia di investimento si è diretta troppo verso la componente aziendale. Il rischio è che i gestori non abbiano ancora l’abilità sufficiente per guidare questa strategia nel lungo termine.
Total return in fase di decollo?
L’approccio total return può invece consentire ai gestori una maggiore flessibilità di investimento tra i settori obbligazionari emergenti. Per ora queste strategie sono ancora limitate, specie in Europa. L’unico esempio è quello di Ashmore (gestore storico sugli emergenti) che, accanto alle versioni local e hard currency (ossia in valuta locale e in euro e dollari) e a quella corporate, ha lanciato anche un comparto total return. Altre società, prima di lanciarsi in questo segmento, preferiscono capire quali sono le potenzialità di lungo periodo.
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