Punti chiave
- L’attività del gruppo Poste Italiane è sempre più bancaria e sempre meno postale.
- BancoPosta, divisione dedicata al risparmio, offre numerosi strumenti d’investimento. Il più usato sono i Buoni fruttiferi postali, che sono diventati più complessi rispetto al passato.
- L’Abi fa da tempo pressione all’Antitrust per riconoscere BancoPosta come una vera e propria banca, soggetta alle stesse regole di vigilanza.
- Il governo ha annunciato da poco un piano di privatizzazioni di aziende pubbliche, tra cui Poste Italiane. Entro la fine dell’anno il 30-40% delle azioni dovrebbe essere sul mercato.
Altro che banca, per investire gli italiani vanno in posta. Gli uffici postali, infatti, vendono sempre meno cartoline e sempre più conti correnti, mezzi di pagamento e strumenti di risparmio-investimento. A dirlo sono i numeri. Secondo le ultime statistiche, i conti correnti postali sono il 14% del totale e più di una carta prepagata su due (il 51%) è emessa dalle Poste. È questo il risultato di una trasformazione costante negli ultimi 20 anni.
La nascita di BancoPosta
L’anno dopo la trasformazione delle Poste Italiane in Spa (avvenuta nel 1998), l’allora amministratore delegato Corrado Passera ristruttura la società dando vita a BancoPosta, la divisione esclusivamente responsabile della raccolta del risparmio e dei prodotti d’investimento e assicurativi. Ad oggi, BancoPosta, che può contare su circa 14 mila uffici postali su tutto il territorio italiano, offre un’ampia gamma di strumenti d’investimento: libretti di risparmio, obbligazioni, certificate, fondi comuni, fondi immobiliari, polizze assicurative e soprattutto i Buoni fruttiferi postali (Bfp), da sempre lo strumento più utilizzato dai clienti (a giugno 2013 si stimava che fossero investiti in Bfp circa 213 miliardi di euro, pari al 6-7% della ricchezza finanziaria nazionale).
Buoni fruttiferi, cosa sono e come funzionano
I Bfp sono molto simili ai titoli di Stato: come questi ultimi sono emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti (l’organo che si occupa della gestione del risparmio di Poste Italiane) e, quindi, sono sotto la garanzia dello Stato e hanno lo stesso profilo di rischio e di tassazione. Tra le principali differenze tra i titoli di Stato e i Bfp è che questi sono emessi esclusivamente dagli sportelli delle poste e, a differenza dei titoli di Stato, non subiscono alcuna modifica del loro prezzo.
I secondi, infatti, vengono scambiati quotidianamente sul mercato e, nel caso il risparmiatore voglia venderli prima della loro scadenza, dovrà per forza cederli al valore di mercato corrente, che può essere inferiore o superiore a quello nominale. Questo non accade per i Buoni che hanno un prezzo fisso e, anche nel caso in cui il risparmiatore voglia provvedere al loro rimborso prima della scadenza (che va da un minimo di 18 mesi a un massimo di 20 anni), non subisce alcuna perdita in quanto riceverà indietro il valore nominale al quale li ha acquistati più gli eventuali rendimenti accumulati fino al momento della vendita. Da sottolineare che per i Bfp postali vale la prescrizione decennale, ossia i titoli non possono più essere riscattati dopo dieci anni dalla loro scadenza.
A differenza che in passato, oggi i Bfp sono diventati più numerosi e più complessi, perciò è sempre opportuno informarsi bene prima di sottoscriverli. L’ultima emissione di Buoni, in vigore dal 10 gennaio scorso, ha visto il collocamento, ancora in corso, di ben 12 serie: si spazia da quello tradizionale con tasso fisso, a quello legato all’andamento dell’Euro Stoxx 50, al tasso BOT semestrale, all’indice Istat dell’inflazione, ai Buoni esclusivamente dedicati ai minori di età oppure ai liberi professionisti.
Tra privatizzazione e polemiche
Negli ultimi dieci anni BancoPosta è diventato un player di primo piano. Nel 2012 alla divisione “bancaria” è imputabile oltre il 60% dei ricavi dell’intero gruppo, pari questi ultimi a 9,2 miliardi di euro. Qual è il problema? Legalmente BancoPosta non è una banca e quindi non è interamente soggetto alle regole di vigilanza che valgono per gli istituti di credito. A rivendicare la parità di trattamento è l’Abi (Associazione bancaria italiana), che chiede sostanzialmente la soggettazione piena alla vigilanza di Bankitalia; a oggi, per esempio, a BancoPosta non viene richiesto lo stesso rispetto dei limiti patrimoniali che così tanto hanno fatto tremare le fondamenta di molte banche.
Il tutto nasce da un’interpretazione: ufficialmente BancoPosta non può concedere credito e quindi non è una banca. In realtà, le Poste hanno accordi con istituti esterni come Deutsche Bank proprio per erogare indirettamente prestiti e mutui. Senza parlare di alcuni “monopoli di fatto”, come vengono definiti dall’Abi, come il pagamento di alcuni bollettini e imposte, che portano ovviamente commissioni.
La situazione potrebbe forse cambiare in futuro, con il piano di privatizzazioni presentato dal governo un paio di settimane fa per dare un po’ di ossigeno alle casse statali che prevede, tra le altre mosse, la vendita del 30-40% di Poste Italiane entro la fine dell’anno. Secondo le prime indiscrezioni, comunque, la cessione non dovrebbe riguardare né Poste Vita né BancoPosta.
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