Gli analisti hanno quasi perso la voce a furia di ripeterlo: non si devono mai dimenticare le commissioni, i costi tecnici e la tassazione. Eppure molti investitori, anche fra i più esperti, spesso scordano quanto le spese legate a un fondo possano influire realmente sul rendimento finale.
Nel sistema dei fondi comuni, competitivo per natura, la partita si dovrebbe giocare sul rapporto fra prezzo e qualità. Ma questo stenta a verificarsi nel sistema distributivo italiano, dove le società continuano a indirizzare i propri clienti solo verso i prodotti di casa. Una parte della responsabilità va anche al risparmiatore che spesso compra un prodotto offerto dalla sua banca, senza cercare altrove. L’attenzione, poi, si concentra sul rendimento attuale e su quello ottenuto in passato. Solo in un secondo tempo si pensa a rischi e costi sostenuti per conseguirlo.
Leggere i costi
Dalle diverse analisi di Morningstar emerge che non sempre i comparti che si fanno pagare di più, sono migliori di quelli dei concorrenti. All’interno delle singole schede fondi, il costo di un prodotto è infatti messo a confronto con quello degli strumenti appartenenti alla stessa categoria. Non si tratta di una semplice media, ma più di un calcolo che prende in considerazione anche i canali di distribuzione impiegati e la struttura interna del costo complessivo.
Morningstar calcola il "livello commissionale" tenendo conto dei diversi profili dei costi dei fondi: in questo modo si determina una sorta di rating dei prezzi, in cui il 20% dei fondi del gruppo di riferimento più economico è classificato come “basso”, il successivo 20% come “sotto la media”, e i seguenti 20% come “in media”, “sopra la media” e “alto”.
Le diverse classi di uno stesso fondo possono avere profili differenti, a secondo se sono no load (prodotto sottoscrivibile senza il pagamento di alcuna commissione di ingresso, nè uscita). Nel verificare come si colloca in termini di fee complessive (commissioni), sono presi in considerazione non solo i fondi della stessa categoria no load, ma vengono aggiunti anche quelli simili che prevedono invece una commissione di ingresso (che solitamente costano di più) e quelle classi di attività istituzionali (spesso meno onerosi dei colleghi retail).
Nel profondo dei costi
All’interno della voce costo, con la nuova direttiva comunitaria europea Ucits IV, sono comprese altre spese, dette “correnti”. Si tratta di un indicatore che va a sostituire il Ter (Total expense ratio), calcola la percentuale di costo sul patrimonio medio del fondo e include, oltre alle commissioni di gestione, anche le spese di revisione, di pubblicazione del valore della quota, il compenso per la banca depositaria, le spese legali e giudiziarie e il contributo di vigilanza. Si escludono le fee di intermediazione che i gestori sostengono per pagare e vendere i titoli, gli oneri di ingresso e uscita a carico del risparmiatore e quelli fiscali.
E’ quindi importante nella scelta di uno strumento di investimento conoscere quali spese accessorie si sommano al Ter, soprattutto se non si ha intenzione di tenere un fondo a lungo termine. Morningstar da queste basi ha costituito un nuovo parametro per tenere traccia di questo valore, denominato Ongoing charge (spese correnti).
Il prezzo del fisco
Per quanto riguarda gli aspetti fiscali la parola chiave è evoluzione. Nel 2011 vi è stato il cambio della modalità della tassazione, applicata non più sul maturato, ma sul realizzato. Nel 2012 è stata ritoccata al rialzo, dal 12,5% al 20%, l’aliquota di tassazione sulle plusvalenze ed è stata introdotta l’imposta di bollo sugli investimenti finanziari, tra cui i fondi comuni. Quest’ultima nel 2014 è stata rincarata, passando dallo 0,15% allo 0,20% dell’importo investito, eliminando il minimo annuo pari a 34,20 euro. Non solo, ma nel 2013 è arrivata anche la Tobin Tax a pesare sui portafogli degli investitori e, secondo i piani attuali di governo, presto sarà alzata nuovamente l’aliquota delle plusvalenze, prevista al 26% a decorrere dal primo maggio. Secondo un’analisi dei costi di Morningstar, in Italia l’investitore non può non considerare anche questi fattori, poiché l’Italia si posiziona tra i paesi europei più cari sul versante fiscale, superando la media delle spese correnti in Europa che sono pari all’1,08%.
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