I minibond possono essere osservati da tre diverse angolature: quella delle imprese emittenti, quella degli investitori e una, più generale, del mercato. Lo strumento è stato introdotto con il Decreto Sviluppo entrato in vigore nel dicembre 2012, che contiene numerose e importanti novità in tema di strumenti finanziari messi a disposizione delle piccole e medie imprese per la diversificazione delle fonti di finanziamento. In particolare, la normativa ha introdotto, quali strumenti alternativi, le cosiddette obbligazioni mini (insieme alle obbligazioni partecipative e alle cambiali finanziarie).
“L’impellente necessità delle imprese di accedere al credito può portarle a sottovalutare non solo i costi da sostenere per ottenere questo finanziamento, ma anche e soprattutto quelli che l’azienda dovrà affrontare per il rimborso negli anni a venire; probabilmente anche perché i deboli segnali di ripresa dell’economia italiana fanno credere che il momento di risalita dei tassi, che immancabilmente caratterizzerà il rilancio dell’economia, sia ancora lontano”, spiega una nota di Giampiero Meschino, foundig partner di CrescItalia, operatore indipendente specializzato nel supporto alle piccole e medie imprese. “Tuttavia è necessario ricordare che la politica di rialzo dei tassi è regolata a livello europeo e potrebbe quindi, di fatto, anticipare la fase di crescita italiana. Le rate d’interesse dei finanziamenti già concessi a tasso variabile potrebbero così subire aumenti disallineati rispetto a quelli dell’economia reale italiana con aggravi importanti per i conti economici delle nostre imprese”. A fronte di questo rischio, oggi gli istituti di credito si limitano a offrire al massimo contratti assicurativi o addirittura derivati che in teoria possono mitigare l’impatto di un eventuale rialzo dei tassi, ma le cui coperture sono generalmente limitate e i costi delle stesse piuttosto rilevanti. In quest’ottica, la speranza per le aziende potrebbe essere quella di rinegoziare in futuro con le banche la riduzione degli spread sui finanziamenti in essere, ma risulta assai complicato realizzare questa opzione. Quindi, un’oculata politica finanziaria consiglierebbe alle imprese di guardare da subito a forme di indebitamento a medio termine che offrano condizioni di tasso fisso, considerando anche che i livelli dei tassi attualmente sono ai minimi storici”.
Dal lato delle imprese
In questo quadro, i mini bond possono rappresentare uno strumento efficace. Offrono alle aziende l’opportunità di ottenere finanziamenti a tasso fisso e soprattutto con scadenze che in alcuni casi arrivano a sette anni. L’emissione di mini-bond non ha inoltre ripercussioni dirette sugli affidamenti in essere concessi dalla banca all’impresa, non comporta alcuna segnalazione in Centrale rischi e non prevede garanzie aziendali o personali. L’assunzione di un debito obbligazionario può anche generare effetti favorevoli sul rating dell’impresa e, in ultima analisi, non concorre a saturare la sua capacità di accesso al credito. Senza contare effetti indotti di crescita culturale e di avvicinamento ai mercati finanziari non bancari.
Dal lato degli investitori
Il minibond non è uno strumento pensato per gli investitori retail. “E per fortuna”, dice Giovanni Landi, senior partner di Anthilia Sgr, società che ha lanciato sul mercato Anthilia Bond Impresa e Territorio (Bit) insieme a un pool di banche territoriali coordinate da Banca Akros. “Ancora ci ricordiamo i danni fatti dai bond di Cirio e Parmalat che erano stati venduti a risparmiatori che non avevano le necessarie competenze”. La gestione del rischio, in effetti, è l’aspetto strategico più delicato quando si maneggiano questi strumenti. “Noi facciamo un’analisi approfondita dei bilanci delle società che vogliamo mettere in portafoglio e conduciamo degli stress test per capire come si comporterebbero in casi particolari”, continua Landi. “Poi studiamo il business plan per capire come intendono utilizzare i finanziamenti. Lasciamo perdere quelli che intendono rifinanziare il debito esistente e puntiamo su chi pensa alla crescita. Magari tramite acquisizioni o espandendosi su nuovi mercati. Poi ci occupiamo del management. I risultati, infine, vengono studiati da un’agenzia di rating – pagata da noi – che dà un giudizio all’emittente. L’intero processo può portare via fino a due mesi e mezzo di tempo”. Il portafoglio viene costruito attorno a un nucleo centrale di aziende con un rating medio a cui vengono via via aggiunte aziende con giudizi superiori (per dare stabilità) e inferiori (per aumentare il profilo di rischio e rendimento). “Cerchiamo di diversificare anche in termini di settori e di esposizione geografica”, dice il senior partner di Anthilia. “In questo modo cerchiamo di ridurre i rischi macroeconomici e di paese”.
Una nuova mentalità di mercato
Ma per maneggiare le obbligazioni mini, secondo gli operatori, occorre essere attrezzati anche culturalmente. “Tutti i soggetti chiamati e interessati a creare questo nuovo mercato devono essere pronti a sostenere gli sforzi di un cambiamento anche semplicemente mentale che impone qualsiasi trasformazione che contenga in sé degli elementi rivoluzionari”, spiega uno studio dell’Aiaf dedicato ai minibond. “Rivoluzionario è per l’imprenditore cominciare a chiedere capitali, anche se di debito, al mercato e non alla banca più vicina. Rivoluzionario è per il gestore valutare a chi e come prestare denaro quando si è abituati a investire in Bund, Btp o in titoli di Enel e General Electric. Rivoluzionario è per il lavoratore sapere che la sua pensione futura, non importa da quale pilastro origini, dipenderà anche da come sarà evoluto un sistema industriale sempre soggetto allo scrutinio del sistema finanziario. E rivoluzionario sarà, infine, il lavoro degli intermediari obbligati a rapportarsi sempre più come autentici partner economici per un numero limitato di aziende clienti e a massimizzare l’efficienza per far incontrare una domanda e un’offerta sempre più sofisticate”.
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