Il 2014 si sta rivelando fin qui un ottimo anno per gli strumenti di previdenza integrativa. Secondo gli ultimi dati Covip (la commissione di vigilanza sul settore), infatti, il primo semestre registra buoni rendimenti medi per le tre macrocategorie di prodotti disponibili: i fondi pensione negoziali hanno guadagnato in media il 4%, i fondi aperti il 4,1% e i Pip Unit Linked il 3,6%. Rendimenti che assumono ancora più forza se confrontati con la rivalutazione del Tfr (Trattamento di fine rapporto), pari allo 0,9%.
Anche scendendo nello specifico delle diverse linee d’investimento a disposizione dei lavoratori, si trovano solo confronti positivi con il Tfr; risultato, questo, piuttosto raro. Si va infatti dallo 0,9% medio della linea obbligazionaria pura dei fondi negoziali al 4,7% dell’offerta azionaria.
Adesioni, piccoli passi in avanti
Anche dal lato adesioni si registrano (timidi) segnali positivi. Da gennaio a giugno, gli iscritti totali sono cresciuti del 2,9%, arrivando a quota 6,39 milioni. Il carro, però, resta trainato dai Pip. I piani individuali segnano il 6,9% di aderenti in più in sei mesi, mentre i fondi pensione aperti il 3,5%. Male, invece, i negoziali, i quali perdono per strada lo 0,4% degli iscritti, praticamente tutti appertenenti al settore privato.
Trend in crescita per le risorse destinate alla previdenza complementare, le quali sono aumentate nel semestre del 4,3%. Anche qui il risultato migliore lo segnano i Pip (+10,6%), seguiti dai fondi chiusi (+8%) e da quelli aperti (+7,7%).
Italia, manca la cultura previdenziale
Nonostante questi risultati, modesti ma positivi, la fotografia complessiva della previdenza integrativa in Italia resta preoccupante. Secondo l’ultimo Asset Allocation Survey a cura di Mercer, ogni cittadino ha in media un patrimonio investito nella pensione di scorta pari a 1.487 euro. In Gran Bretagna lo stesso parametro supera i 30 mila euro e in Svizzera i 72 mila.
Eppure, le risorse ci sono: secondo lo studio, l’Italia è il quinto paese al mondo come ricchezza pro capite. Le famiglie dello Stivale hanno circa 3.500 miliardi investiti in asset finanziari. Il problema è che non sono asset previdenziali e soprattutto la maggior parte sono investimenti a breve termine.
Le ragioni che stanno dietro a questa tendenza sono culturali (stato sociale generoso, poca propensione al rischio, pericolo non percepito) e servirà molto tempo per cambiare le cose. Come ha spiegato Barbara Alemanni, docente dell’Università di Genova, in un’intervista a Morningstar, difficilmente i lavoratori si avvicineranno alla previdenza complementare autonomamente, per ragioni essenzialmente psicologiche (clicca qui per guardare il video). Il punto resta sempre lo stesso, soprattutto per i giovani: meglio prevenire, che curare.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.