Anno nuovo, vecchia strategia. Anche per il 2015, la strategia indicata dagli analisti di Morningstar resta il value investing. Tra le Best Ideas, infatti, ci sono società che combinano alta qualità dei fondamentali a un consistente sconto da parte del mercato. Nel valutare un’azienda, i nostri analisti non guardano ai dati storici, ma alla presenza di alcuni elementi strutturali nel modello di business di una impresa (economie di scala, immobilizzazioni immateriali, costi di switch, ecc.) che permettono all’azienda di contrastare la concorrenza dei suoi avversari e di garantirsi una redditività del capitale superiore alla media e sostenibile nel tempo (elementi che formano l’Economic Moat, il vantaggio competitivo). Il mercato tende generalmente a non riconoscere o a sottovalutare questi punti di forza. E’ per questo che le raccomandazioni possono sembrare a volte estremamente contrarian.
BHP in ripresa nel 2018
BHP Billiton, ad esempio, ha perso da inizio anno circa il 20% della sua capitalizzazione di mercato sulla scia del negativo andamento delle materie prime, ma i nostri analisti stimano un fair value di 70 dollari (per il titolo Adr quotato sul Nyse di New York), circa il 30% superiore alle attuali quotazioni di mercato. Il gruppo è uno dei maggiori operatori del settore minerario e detiene un portafoglio molto diversificato sia sotto il profilo geografico sia dei prodotti, nonostante una larga fetta del suo fatturato derivi dall’estrazione di ferro, greggio e carbone per uso energetico. La fonte principale del suo Economic Moat è comunque il basso livello dei suoi costi di produzione.
BHP, infatti, è proprietaria di una larga quota dei siti minerari più grandi e a basso costo del mondo. Le elevate dimensioni le permettono non solo di realizzare significative economie di scala, ma anche di attirare i clienti più rilevanti, le migliori figure professionali, nonché il sostegno dei governi in cui le miniere sono ubicate. A questo poi si aggiunge la vicinanza dei siti produttivi ai principali mercati di sbocco (come quelli asiatici) che le consente di ridurre in maniera sensibile le spese di trasporto.
Nelle ipotesi formulate dai nostri analisti, il fatturato dovrebbe calare ancora nei prossimi due anni per poi risalire a un tasso medio del 5% nei successivi tre. I margini di profitto continueranno a soffrire del negativo andamento della produzione e solo alla fine del periodo di previsione preso in considerazione (2018), l’Ebitda dovrebbe tornare ai suoi livelli normali.
Elekta paga la debolezza dell’Europa
La svedese Elekta ha registrato un calo del 23% da inizio anno e superiore al 50% da metà agosto scorso, quando il titolo aveva raggiunto il suo massimo storico a quota 115 corone svedesi. Al momento, invece, il prezzo delle sue azioni viaggia attorno alle 76 corone, ad un tasso di sconto di circa il 20% rispetto al nostro fair value che è pari a 95 corone. L’azienda si occupa della produzione di strumenti e software per la diagnostica in campo oncologico ed è il secondo player globale nel mercato dei macchinari per la radioterapia.
Il recente andamento in Borsa è legato al negativo trend delle vendite nelle regioni Emea (Europa, Medio Oriente, Africa) e Asia Pacifico, che rappresentano rispettivamente il 40% e il 30% del giro d’affari complessivo del gruppo. I risultati ottenuti nel Vecchio continente sono il frutto di dinamiche macro sfavorevoli che, a detta dello stesso management dell’azienda, sono destinate a rinforzarsi nei prossimi mesi. I paesi asiatici sono il principale motore di crescita della domanda di macchinari per la radioterapia. Elekta paga rispetto ai suoi competitor la sua sovraesposizione a questi mercati che negli ultimi trimestri hanno registrato una significativa flessione degli ordini.
La posizione di vantaggio di Elekta all’interno del settore è il frutto della combinazione di due elementi: alte barriere all’ingresso di nuovi concorrenti e consistenti costi di switch (legati al passaggio ad un nuovo fornitore ) a carico dei clienti finali.
La produzione degli strumenti per la radioterapia richiede l’investimento di ingenti capitali e un elevato know how tecnologico difficilmente eguagliabile da nuovi potenziali entranti. L’utilizzo di questi dispositivi richiede una preparazione accurata e dispendiosa sia per il personale addetto all’utilizzo, sia in termini di tempo che economici. La decisione di cambiare fornitore, quindi, tiene in forte considerazione l’incidenza di questi oneri.
I nostri analisti stimano per il gruppo svedese una crescita media del fatturato a un tasso medio del 7%, superiore a quella del mercato e un progressivo miglioramento dei margini di profitto che dovrebbero riportarsi entro il 2018 ai massimi storici raggiunti nel 2012.
Swatch allontana la minaccia dello smartwatch
Swatch, come quasi tutti i titoli del comparto del lusso, ha vissuto un anno difficile. L’apprezzamento del franco svizzero nei confronti del dollaro e delle altre valute estere ha impattato sul fatturato e sui margini di profitto, mentre i nuovi provvedimenti anti-corruzione in Cina e le tensioni politiche in Hong Kong e in Russia hanno rallentato le vendite, come testimoniato dal confronto dei tassi di crescita del primo semestre del 2014 e del 2013. Il titolo ha ceduto da inizio anno il 18% e ora è scambiato ad un tasso di sconto superiore al 25% rispetto al nostro fair value pari a 640 franchi svizzeri.
I nostri analisti prevedono che il cambio sfavorevole avrà un impatto negativo anche nel secondo semestre, nonostante il peso sarà inferiore a quello rilevato nella prima parte dell’anno. Il 2014 dovrebbe concludersi con un fatturato in crescita del 5%, mentre il margine operativo è visto in contrazione per circa 500 punti base (dal 27,4% al 22,5%). In ottica di lungo periodo invece, le previsioni sono per un progresso medio dell’8% nei successivi nove anni e un ritorno dei margini di profitto ai massimi degli ultimi cinque anni.
Diversamente da molte aziende del lusso, Swatch non ha dalla sua solo numerosi marchi di valore come Breguet, Longines e Omega, dai quali riesce a ricavare elevati margini di profitto, ma può vantare anche un elevato grado di integrazione verticale e un’estesa rete distributiva. Swatch, infatti, controlla tutti le fasi del ciclo produttivo: dal design alla fabbricazione delle componenti degli orologi, e questo contribuisce ad alimentare la fama della qualità dei suoi prodotti e riduce in maniera significativa i costi di produzione, in quanto le permette di disporre delle forniture a prezzi molto al di sotto di quelli di mercato. Inoltre, dispone di una enorme rete distributiva che valorizza al massimo la forza dei suoi marchi.
Priceline, il rally non si ferma
Priceline arriva, invece, da un periodo di grande espansione. Negli ultimi cinque l’agenzia di viaggi online, che comprende al suoi interno i siti Booking, Rentalcar e Kayak, ha registrato un tasso medio di crescita del 30% e questo si è tradotto in una performance di Borsa eccezionale. Il titolo del gruppo è salito dai 140 dollari del 2010 agli attuali 1.140 dollari (+714%), ma a nostro avviso continua ad essere scontato rispetto al nostro fair value che è pari a 1.500 dollari per azione. I nostri analisti sono convinti che la crescita di Priceline sia sostenibile anche nel futuro e che presto l’azienda possa conquistare la leadership mondiale nel settore grazie alla forte presenza nei mercati emergenti, ancora scarsamente penetrati e in forte espansione, al sostenuto progresso dei ricavi generati da Booking,com (che ora rappresenta il 60% del giro d’affari complessivo), che continuerà a guadagnare fette di mercato in Europa, e al miglioramento della partnership con Ctrip in Cina.
Il suo punto di forza, però, è lo sfruttamento dell’effetto network prodotto dai suoi siti Internet. Man mano, infatti, che aumenta l’offerta dei suoi website, cresce anche l’interesse e la fedeltà dei consumatori. Booking.com, ad esempio, ha più di 200 mila immobili a disposizione in Europa, a fronte dell’offerta di Expedia di solo 75.000 soluzioni, ed ha inoltre un modello che alimenta questo circolo virtuoso. Esso infatti richiede alle strutture alberghiere il pagamento di una commissione più bassa rispetto al 20% circa richiesto in media dalle agenzie online e questo le permette di guadagnare quote di mercato significative. I nostri analisti stimano un rallentamento dei tassi di crescita nei prossimi anni, ma sono comunque convinti che l’azienda posso sostenere un progresso medio del fatturato in doppia cifra per i prossimi dieci anni. Questo avrà un positivo impatto sui margini di profitto che saliranno sui massimi storici (Ebitda al 43%).
Apollo vince grazie alla buona reputazione
Apollo Global Management ha visto raddoppiare la sua capitalizzazione di mercato negli ultimi due anni, salendo da 13 dollari a 26 dollari. Il titolo ha registrato una piccola flessione dopo i risultati degli ultimi trimestri al di sotto delle aspettative e ora viaggia su quotazioni molto convenienti (circa il 60% in meno rispetto al nostro fair value di 40 dollari).
La società americana di asset management opera nei segmenti del private equity, del real estate e del credito e ha un giro d’affari di circa quattro miliardi di dollari. Come tutte le aziende attive in questo settore i suoi punti di forza sono la sua reputazione sul mercato, frutto delle performance realizzate, e gli alti costi di switch da parte delle clientela. Nel caso di Apollo, che opera nel settore del private equity e investe in società non quotate sui listini azionari, la buona reputazione è molto importante, data la scarsa trasparenza dei suoi investimenti rispetto agli asset manager che gestiscono fondi comuni di investimento. Apollo ha puntato sul mercato del credito, riuscendo, grazie alla crisi finanziaria e alla successiva regolamentazione del comparto bancario, ad acquisire crediti a basso prezzo, ricavando rendimenti molto alti.
I nostri analisti indicano per questo segmento tassi di crescita molto interessanti anche per i prossimi anni dato che gli istituti di credito continueranno a dismettere i loro crediti per soddisfare i criteri di solidità finanziaria imposti dalla nuova normativa del settore. Le previsioni sui futuri dati di Apollo, invece, sono orientate a una maggior prudenza. La crescita dell’asset under management continuerà a trainare il fatturato, il cui andamento però non seguirà un trend costante, come testimonia il tasso medio annuo inferiore all’1%. Questo penalizzerà i margini di profitto che registreranno una lieve contrazione, con l’Ebitda che è visto in discesa dal 53,8% del 2013 al 51,8% del 2018.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.