Mentre seguono sul radar i movimenti della Grecia, gli operatori finanziari si preparano a far ruotare i portafogli. Le implicazioni delle decisioni del nuovo governo ellenico, guidato dalla sinistra radicale di Syriza, riguardo al debito del paese, infatti, avranno conseguenze profonde sul sistema finanziario della regione. “Gli sviluppi di questa situazione saranno un precedente sia dal punto di vista politico che economico e contageranno altri stati che hanno problemi analoghi come Italia e Francia”, spiega uno studio firmato da Franklin Allen professore di finanza alla Wharton School (Università della Pennsylvania). “Nei due paesi sono presenti formazioni politiche populiste che potrebbero copiare le idee della Grecia nei loro programmi elettorali. Le elezioni, in entrambi gli stati, tuttavia, sembrano ancora lontane”.
Dove va la Grecia
I problemi attuali della Grecia sono emersi negli ultimi otto anni, durante i quali il paese ha dovuto fare i conti con tre recessioni e ha visto il debito salire al 175% del Pil. La cosiddetta Troika (Unione europea, Bce e Fondo monetario internazionale) ha messo insieme due pacchetti di aiuti (nel 2010 e nel 2011) per un totale di 240 miliardi di euro erogati a condizione che Atene si imbarcasse in un pesante progetto di ristrutturazione economica e fiscale all’insegna dell’austerità. Una strategia, dicono i leader di Syriza, che ha gettato sul lastrico famiglie e imprese greche impedendo al paese di risollevarsi. Per questo il nuovo esecutivo sta chiedendo una ridefinizione dei termini degli aiuti. Il piano iniziale del premier, Alexis Tsipras, e del ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, prevedeva di scambiare una parte del debito detenuto dai governi europei con bond indicizzati all’andamento dell’economia ellenica e con obbligazioni “perpetue”, cioè senza scadenza e senza rimborso.
Atene, nel suo programma anti austerità, è decisa a non rinnovare gli impegni presi con la troika in termini di riforme e di tempistica. Un’idea che non piace soprattutto alla Germania (che contribuisce in misura maggiore agli aiuti). I tedeschi, peraltro, hanno già detto (correggendo poi il tiro) che, in linea di principio non sarebbero preoccupati per un’uscita del paese dall’euro. Del resto, secondo diversi osservatori, non c’è modo che nella situazione attuale (Pil in frenata del 25% nell’ultimo anno e disoccupazione anche lei al 25%) Atene sia in grado di venire incontro ai suoi obblighi. “Syriza sta cercando di risolvere il problema con un approccio tradizionale”, continua Allen. “Vogliono una svalutazione del debito e un aumento degli investimenti che stimolino l’economa in maniera keynesiana. Sia che ottengano quello che vogliono restando nella moneta unica che lasciandola, ci saranno conseguenze anche in altri paesi”.
Nel frattempo la Bce ha deciso di non accettare più i titoli di stato della Grecia come forma di garanzia per i finanziamenti alle banche del paese.
Le scelte operative
“In una situazione del genere una delle posizioni più delicate è quella della Germania: non vuole costruire pericolosi precedenti, ma non se la sente nemmeno di essere additata come quella che ha distrutto l’economia greca”, spiega Emma Wall, analista di Morningstar.
Anche dal punto di vista degli investitori in asset europei la questione è difficile: meglio orientarsi su aziende che hanno un business domestico o spingersi su quelle società che operano a livello internazionale e, quindi, possono osservare la questione greca con un certo distacco? “A prima vista la seconda opzione sembra la migliore”, risponde Wall. “Ma, guardando i prezzi, le società che di solito operano a livello nazionale come i costruttori o le utility vengono trattate a valori che sono – mediamente – la metà di quelli che possiamo trovare negli Usa per società simili. Anche rispetto ad aziende europee che hanno respiro internazionale i prezzi sono decisamente a sconto. Ci sono buone chance che la congiuntura europea possa continuare a migliorare e le aziende locali sapranno approfittarne, anche grazie alla debolezza dell’euro e ai bassi costi del petrolio”.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.