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Performance, bersaglio mancato

I rendimenti non sono il piatto forte dei prodotti con scadenza predefinita. Un’analisi svolta da Morningstar su quelli vicini alla data obiettivo evidenzia che i comparti tradizionali hanno fatto meglio.  

Francesco Paganelli 16/03/2015 | 09:36
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I prodotti a scadenza non reggono il confronto. Almeno per ora. Nella giungla delle date obiettivo e dei diversi mandati di investimento risulta complesso valutare i risultati dei fondi a scadenza predefinita, ma rispetto agli strumenti tradizionali hanno dei punti deboli per quanto riguarda le performance. E’ bene premettere che la maggior parte dei comparti Obbligazionari a scadenza è stata lanciata di recente, per cui solo pochi hanno raggiunto la rispettiva data obiettivo. Nella categoria abbiamo però contato 18 prodotti con scadenza 2015, tutti partiti tra il 2010 e il 2011. Guardando ai rendimenti e alle performance corrette per il rischio nei tre anni fino a fine febbraio 2015 (cinque anni sarebbe un periodo più rilevante, ma solo quattro fondi hanno raggiunto questo traguardo) risulta come nessuno abbia fatto meglio dello strumento medio di quattro Categorie Morningstar obbligazionarie “tradizionali” (Governativi, Corporate, Diversificati e Flessibili in euro).

Dove investono
Per comprendere i rendimenti, è utile guardare ai titoli in portafoglio. Talvolta possono esserci forti concentrazioni: tra i top cinque Obbligazionari a Scadenza ("Chi cavalca il successo dei fondi a scadenza"), il BBVA Bonos Patrimonio (non disponibile in Italia) ha, per esempio, oltre il 50% dell’attivo investita nel Bonos spagnolo con scadenza gennaio 2018, mentre il FonCaixa Rentas Octubre 2018 FI (non disponibile in Italia) a fine gennaio 2015 ha il 74% dell’attivo investito nel titolo governativo con scadenza ottobre 2018.
Queste concentrazioni sono un’arma a doppio taglio: sempre in Spagna, il fondo NB Fonplazo 2015 FI di Novo Banco Gestión (ex- Banco Espírito Santo) ha chiuso il 2014 con una perdita di oltre il 6% - dopo essere stato fortemente penalizzato da una posizione (oltre l’8% del portafoglio a fine aprile 2014) in un bond di Banco Espirito Santo con scadenza 2015 che ha perso quasi il 70% del proprio valore tra giugno e luglio 2014. Guardando ai fondi distribuiti in Italia, in realtà, non si riscontra una sovraesposizione strutturale ai Btp (analizzando i comparti con almeno un portafoglio tra giugno 2014 e febbraio 2015), se non altro perché molti prodotti investono in obbligazioni ad alto rendimento o corporate investment grade. Il numero dei titoli in portafoglio varia dai 7 del BancoPosta Corporate 2014 (ormai vicino alla scadenza) ai 178 dell’Euromobiliare Alto Rendimento 2019. In media, comunque, si contano circa 50 obbligazioni in portafoglio, un numero potenzialmente adatto a fornire una buona diversificazione. E’ comunque importante verificare che l’esposizione del fondo rifletta le proprie aspettative e sia coerente con i propri obiettivi di investimento.

Notiamo, da questo punto di vista, una ulteriore difficoltà nell’analisi dei fondi bilanciati, prodotti che al pari degli obbligazionari a scadenza spesso non dichiarano un benchmark, e se lo fanno lo determinano molte volte con un livello di Var (Value-at-risk) per indicarne la rischiosità attesa. In alcuni casi, la flessibilità del mandato non consente di determinare in anticipo le concentrazioni di rischio in termini, ad esempio, di allocazione dell’attivo (esposizione azionaria) o esposizione geografica. Per i fondi bilanciati a scadenza venduti in Italia, che comunicano i propri dati di portafoglio, l’esposizione azionaria varia da 0 al 53%, ma anche per un singolo fondo in molti casi questa percentuale non è costante nel tempo. Questa mancanza di visibilità sulle fonti di rendimento del fondo rende complicato per l’investitore comprendere quali variabili ne condizionano l’andamento e, dunque, che cosa è lecito aspettarsi in chiave prospettica.Come se non bastasse, diversi prodotti riportano nei documenti ufficiali un livello di leva finanziaria tendenziale che amplifica guadagni e perdite. Tutti questi fattori dovrebbero essere tenuti in considerazione dagli investitori e complicano ulteriormente, a nostro parere, la possibilità di un loro uso efficace all’interno di un portafoglio diversificato. Senza dimenticare che il Var non è un modello infallibile.

Cosa sapere prima dell’acquisto
La struttura dell’offerta dei fondi a scadenza predefinita presenta una enorme varietà di politiche, obiettivi e limiti di investimento. Ci sono strumenti che investono in emittenti ad alto merito di credito e obbligazioni spazzatura, nei paesi sviluppati e nei paesi emergenti, in titoli demominati solo in euro o in diverse valute. E’ infatti la estrema eterogeneità dei costituenti il motivo per cui Morningstar non assegna rating a queste tipologie di fondi. Del resto, il meccanismo del “Periodo Iniziale di Sottoscrizione” implica comunque che tali fondi non siano effettivamente aperti e dunque sottoscrivibili dagli investitori. La presenza di una politica di distribuzione dei proventi sotto forma di cedole periodiche avvicina in teoria questi prodotti all’investimento diretto in obbligazioni. Ma la struttura della cedola è diversissima da comparto a comparto. Chi distribuisce una cedola predeterminata prevede in realtà la possibilità di rimborsare parzialmente il capitale investito, qualora l’utile del periodo non sia sufficiente a coprire l’importo della cedola. In altri casi, la distribuzione dei proventi è invece subordinata al verificarsi di precise condizioni (es. performance dell’indice EuroStoxx 50).

La presenza di una data obiettivo si associa del resto in molti casi ad una strategia “Buy & Hold” (cioè “compra e tieni”) e di conseguenza a un livello di gestione attiva ridotto, rispetto ai fondi tradizionali. Da questo punto di vista, il livello medio dei costi, su cui gravano le commissioni di collocamento, risulta ancor meno competitivo. Questa commissione di collocamento introduce peraltro un sistema di incentivi monetari per le reti di vendita che presenta evidenti criticità in termini di conflitti di interesse.

In teoria questi fondi possono costituire un buon investimento per determinate tipologie di investitori, rendendo accessibili anche emissioni obbligazionarie con tagli minimi troppo elevati per un investitore retail. Ma nel confronto con fondi “tradizionali” con un profilo di rischio simile risultano in media più costosi, meno trasparenti, meno flessibili, e anche meno performanti. Costi, trasparenza, comparabilità, risultati e flessibilità (del gestore e dell’investitore) restano fattori critici che fanno la differenza per gli investitori finali (ne parleremo in modo più ampio nei prossimi giorni).

 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Francesco Paganelli

Francesco Paganelli  è Fund Analyst di Morningstar in Italia

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