Obbligazioni asiatiche, il dollaro forte fa meno paura

Rispetto al passato, l’area del Pacifico è meno sensibile alle dinamiche di investimento globali. Ma non mancano rischi interni, a cominciare dal rallentamento della Cina. Il Giappone fa storia a sé.

Sara Silano 20/04/2015 | 10:02
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Non si può parlare di mercato obbligazionario asiatico senza considerare la forza del dollaro. Il ricordo delle crisi valutarie degli anni Ottanta e Novanta è ancora vivo, in particolare di quella dell’estremo oriente. Un biglietto verde forte, infatti, rende più difficile ripagare il debito denominato in Usd. Per contro un indebolimento delle divise locali fa aumentare l’inflazione, obbligando le Banche centrali ad alzare i tassi a discapito della crescita economica.

Accadrà anche questa volta? “Crediamo che un rafforzamento del dollaro possa danneggiare quelle economie globali che si sono affidate ai bassi tassi negli Stati Uniti per finanziare degli ampi deficit fiscali e delle partite correnti”, spiega Sarah Percy-Dove, gestore del fondo BNY Mellon Asian Bond.  “Anche se questo rischio esiste in Asia, riteniamo improbabile che un rialzo del biglietto verde possa causare problemi sistematici nella regione, poiché la maggior parte delle economie locali mantiene bassi livelli di deficit fiscale e vanta surplus delle partite correnti, il tutto unito ad ampie riserve di valute”.

Aziende in salute
Percy-Dove fuga anche i dubbi relativi all’indebitamento delle aziende: “Dalle nostre ricerche emerge come la crescita del debito societario in valute estere nella regione sia associata all’aumento del fatturato derivante da scambi commerciali con l’estero”, dice.

Proprio il segmento corporate è stato particolarmente vivace negli ultimi anni: con oltre 170 miliardi di corporate bond in dollari americani lanciati sul mercato nel 2014, l’Asia rappresenta metà del volume di emissioni annue globali e la sola Cina costituisce, secondo JP Morgan, il 30% circa del totale. Il trend dovrebbe proseguire nel 2015. Dal lato dell’offerta, l’espansione è stata sostenuta da una combinazione di fattori che includono la crescita economica relativamente robusta, la maggior profondità dei mercati dei capitali e la disintermediazione dei prestiti bancari. Dal lato della domanda, invece, si è ampliata la base degli investitori, sia domestici sia esteri. “Guardando al futuro, continuiamo ad aspettarci prime emissioni da società asiatiche e da emittenti sovrani che non avevano ancora fatto il loro ingresso sui mercati internazionali del debito”, afferma la manager.

Investitori locali
Dunque, le dimensioni e la varietà del mercato del reddito fisso del Far East sono destinate ad aumentare. Uno dei principali rischi è che l’offerta superi la domanda, ma Charles de Quinsonas del team fixed income di M&G Investments, stempera i timori. “A differenza di quelli latinoamericani, i bond asiatici sono meno sensibili ai flussi in uscita dalle piazze statunitensi”, si legge in una sua nota. “Inoltre, negli anni scorsi, il continente ha ampliato il proprio bacino di investitori locali, creandosi un importante fonte di sostegno in grado di assorbire l’offerta prevista nel 2015”.

Negli ultimi anni, l’Asia ha mostrato una certa capacità di resilienza agli shock di altri paesi emergenti. Per il gestore di BNY Mellon, offre quindi opportunità interessanti nel contesto internazionale, in particolare nel segmento high yield. Tra i fattori che elenca ci sono “un reddito addizionale rispetto alle obbligazioni societarie Usa con rating equivalente (per i bond in valuta forte), la minor volatilità e correlazione rispetto ad altri mercati e uno dei più bassi livelli di default al mondo”.

Rischio deflazione?
Volgendo lo sguardo alle dinamiche interne al continente, tuttavia, alcuni esperti mettono in guardia dal pericolo di deflazione. “La debolezza della domanda in Asia, unitamente ai prezzi più bassi dell’energia e delle commodity, renderanno concreto tale rischio”, sostiene François Théret, responsabile investimenti di Natixis Asset Management Asia Limited. “I policy-maker asiatici dovrebbero agire preventivamente per evitare che si allarghino le aspettative deflazionistiche. In tale contesto, appare comprensibile il recente taglio dei tassi di interesse da parte della Banca centrale cinese, nonostante le preoccupazioni sulla normalizzazione della politica della Fed. A fronte dell'attuale stato dell'economia globale, che difficilmente rappresenterà un forte catalizzatore di crescita per le economie asiatiche, le dinamiche economiche potrebbero essere molto divergenti in base alla capacità del singolo paese di fornire stimoli per la crescita”.

Lo strano caso giapponese
Un capitolo a parte è rappresentato dal Giappone. La maggior parte del debito è in yen e la Banca centrale ne è divenuta la maggiore detentrice in seguito alle politiche di stimolo dell’economia. Per altro, una quota minima è in mano a investitori stranieri. Tutti fattori che fanno sì che non ci si preoccupi troppo di un possibile fallimento del paese, nonostante il rapporto debito/Pil sia di gran lunga superiore a quello della Grecia. I bassi rendimenti, tuttavia, lo rendono poco allettante.

“L’ambiente attuale è uno di quelli in cui non ci vuole troppa fantasia per immaginare scenari in grado di mettere sotto pressione i tassi”, dice Juan Nevado, gestore di M&G Investments. “La cosiddetta Abenomics è uno sforzo deciso per incrementare la crescita, con un obiettivo di inflazione del 2%. Questo è difficile, ma se si riuscisse anche solo ad andarci vicino, un rendimento dello 0,3% sui titoli governativi a 10 anni potrebbe risultare molto poco appetibile”.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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