Molti investitori vedono il rallentamento della Cina come una minaccia al rendimento del proprio portafoglio. Ma il problema, a nostro avviso, è solo di chi non ha una visione di lungo periodo. Il Dragone sta proseguendo la sua transizione verso un’economia basata sui consumi. Questo pesa sulla crescita globale e, nel breve periodo, rappresenta uno dei freni alla corsa dei listini, ma siamo davanti a uno di quei macro-trend che nessun investitore dovrebbe farsi scappare. La scelta migliore, in questo caso, è quella di ragionare in prospettiva e puntare sui cavalli vincenti.
Nonostante i consumi interni continuino a rappresentare ancora per il 35% del Pil del Paese, contro il 70% di quelli occidentali, la crescita della popolazione (anche in virtù dell’addio alla politica del figlio unico) e del reddito medio pro-capite contribuiranno anche nei prossimi anni all’aumento della domanda di beni e servizi.
La pancia dei cinesi fa gola a tutti
Gli ultimi dati indicano che la Cina è diventata il primo consumatore di cibo a livello globale. La produzione interna non riesce a sostenere le richieste della popolazione e, dopo i recenti scandali e i casi di contraffazione, la fiducia dei cinesi nei prodotti di casa propria è ai minimi storici. Così Pechino è costretta a importare alimenti per 95 miliardi di dollari (ben oltre il totale delle sue esportazioni pari a 58 milioni).
Tra i gruppi maggiormente esposti al mercato cinese, Coca-Cola è quella, scambiata a prezzi più convenienti. Il gruppo americano ha uno dei brand più riconoscibili al mondo, ha una forte posizione di vantaggio all’interno del settore beverage ed è destinata a crescere in futuro grazie all’aumento dei consumi nei paesi emergenti. La Cina è una grossa opportunità per Coca-Cola per via dei grandi margini di espansione del settore: nel paese asiatico, infatti, il consumo pro-capite annuo di bevande gasate è di 48 bicchieri contro i 700 degli Usa. “Il fatturato dell’azienda registrerà un calo nel 2015, anche a causa dello sfavorevole andamento del tasso di cambio, per poi salire a un tasso medio superiore al 4% (superiore al suo principale competitor Pepsi) nei successivi nove anni”, dice Adam Fleck analista azionario di Morningstar.” “Il margine operativo, invece, si riporterà progressivamente attorno al 27%, livello raggiunto l’ultima volta nel 2009”. Secondo questi calcoli la nostra stima del fair value è pari a 43 dollari per azione, circa il 5% in meno rispetto alle attuali quotazioni di mercato.
Sul mercato interno, invece, Want Want China promette di continuare a catalizzare i consumi della fascia d’età tra i tre e i 15 anni. “L’azienda cinese è focalizzata sui segmenti snack, cracker, latte e i suoi derivati. In breve tempo ha conquistato una grossa fetta di mercato, anche nelle zone rurali del paese, e, sebbene il suo successo rischi di attirare nuovi competitor, i bassi costi di produzione e la forza dei suoi brand le permetteranno di mantenere alti margini di profitto e di crescere nei prossimi cinque anni ad un ritmo dell’8,6%”, dice Kai Bi analista azionario di Morningstar. Il titolo del gruppo cinese è scambiato al momento attorno a quota 8 dollari di Hong Kong, circa il 15% al di sotto del nostro fair value che è pari a 11 dollari.
I cinesi vanno pazzi per il lusso
Secondo le stime degli analisti, entro il 2020 la Cina sarà il primo paese per consumo in beni di lusso. Il trend è partito già da tempo, spingendo il fatturato dei maggiori brand dell’alta gamma fino al 2014. I severi provvedimenti imposti dal Governo per contrastare la corruzione hanno recentemente fatto da freno alle vendite, ma la borghesia cinese continuerà a fare la fortuna delle case di moda occidentali.
Al momento i titoli del comparto sono tendenzialmente scambiati su prezzi in linea con le nostre valutazioni, ma Swatch riesce a combinare buone prospettive di crescita nella regione a significativi margini di apprezzamento in Borsa. La decisione della Banca centrale svizzera di staccare la propria valuta dal cambio fisso con l’euro ha reso molto volatile la divisa aggiungendo un fattore di instabilità alle vendite del gruppo. “Il mercato sconta in maniera eccessiva questi timori e al momento scambia il titolo a prezzi del 25% circa inferiori rispetto al nostro fair value che è pari a 31 franchi svizzeri”, dice Paul Swinand, analista azionario di Morningstar. “Dal 2008 a oggi Swatch ha quasi raddoppiato la quota del fatturato prodotta in Cina (dal 22% al 44%) e nei prossimi anni questo mercato continuerà ad essere il principale motore delle sue vendite”. Le stime per i prossimi due anni sono per una contrazione dei ricavi aziendali, anche a causa della maggior volatilità del tasso di cambio, ma nei successivi tre il progresso medio sarà di circa il 5%.
Philip Morris unico straniero in Cina
La Cina, a oggi, è non solo il primo produttore ma è anche il principale consumatore di sigarette al mondo (con una quota del 40% sul totale). Il Governo ha cercato negli ultimi anni di fare educazione in questo senso, limitando la pubblicità di tabacco in Tv e imponendo il divieto di fumo in molti luoghi pubblici, ma non è stato sufficiente a invertire la tendenza. Il settore resta sotto il pieno controllo dello stato, ma il gruppo americano Philip Morris è l’unico produttore estero a essere riuscito ad accedere al mercato cinese attraverso un contratto di licenza del marchio Marlboro con la Chinese National Tobacco e che ora cerca di aggirare gli ostacoli del Governo attraverso l’offerta di prodotti alternativi.
“A nostro avviso queste iniziative la metteranno in una posizione di vantaggio rispetto ai competitor nel momento in cui la Cina si aprirà al mercato globale e rappresentano una fonte di reddito aggiuntiva in un periodo storico in cui i volumi di vendita nei paesi occidentali continuano a stagnare”, dice Philip Gorham analista azionario di Morningstar. “Per i prossimi cinque anni prevediamo un tasso di crescita medio dei ricavi del 3%, in larga parte trainato dalla crescita dei prezzi di vendita, e un margine Ebit stabile sopra il 40%, e stimiamo un fair value di 92 dollari per azione”.
Dongfeng Motor guida i cinesi
Diversamente dal tabacco, il mercato cinese dell’auto è stato scoperto da tempo dalle grandi major del settore. Volkswagen, ad esempio, ricava circa il 60% dei suoi profitti nel paese asiatico, seguita da Bmw con il 45% e General Motors con il 37%. Da anni, ormai, la Cina ha superato gli Stati Uniti per numero di immatricolazioni e, nonostante si sia assistito negli ultimi anno a un rallentamento delle vendite, resta il paese a cui le case automobilistiche devono guardare se vogliono aumentare il fatturato. Il paese del Dragone, infatti, con circa 10 auto per 1000 abitanti ha un tasso di penetrazione ancora molto basso (se confrontato con le 606 dell’Italia e le 765 degli Usa).
Tra le nostre migliori idee di investimento all’interno del settore c’è la cinese Dongfeng Motor. L’azienda opera prevalentemente attraverso joint-venture con operatori stranieri, attraverso le quali produce oltre il 70% dei suoi volumi di vendita, e le recenti collaborazioni con Renault e Peugeot (della quale detiene il 14% del capitale sociale) hanno contribuito a diversificare il suo portafoglio auto e a garantirle margini di profitto più elevati. Il Governo di Pechino è stato costretto a imporre dei limiti alla vendita di auto nelle città più densamente popolate, una delle cause, questa, della decelerazione della crescita del mercato dell’auto in Cina, ma nelle regioni a più basa urbanizzazione non vi è nessun vincolo e questo può essere un vantaggio per un produttore locale come Dongfeng. I nostri analisti, infatti, ipotizzano un tasso di crescita medio del 5,3% nei prossimi cinque anni (superiore a quello del mercato complessivo) e stimano un fair value pari a 18 dollari di Hong Kong.
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