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Come gestire il rischio valutario

Investire in Asia con strumenti privi di copertura espone alle oscillazione del tasso di cambio. Se nel breve termine ci sono tanti rischi (e opportunità), nel lungo periodo i benefici dei prodotti hedged  si livellano.

Francesco Paganelli 24/04/2015 | 09:23
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Il fattore valutario è un rischio da tenere d’occhio, perchè può fare la differenza tra il successo e il fallimento. Prima di investire nei mercati asiatici è quindi utile domandarsi come possa essere gestito.

Malgrado periodi di calma apparente, non sono rari movimenti significativi ed improvvisi nei prezzi delle valute (come quello del franco svizzero a gennaio). Per i risparmiatori italiani ed europei, ad esempio, tutti gli investimenti denominati in dollari hanno beneficiato del significativo deprezzamento dell’euro negli ultimi 12 mesi. Ma gli umori dei mercati mutano in fretta e l’esposizione al rischio di cambio non sempre gioca a favore. Nel 2013, ad esempio, l’indice azionario giapponese Msci Japan in euro ha avuto una performance del +51,9%, contro il +21,6% dello stesso indice corretto per il cambio fra la moneta unica e lo yen.

I movimenti di questi mercati estremamente liquidi (ed efficienti) sono difficili da prevedere.  “Il punto è che le valute tendono ad avere un andamento altalenante in condizioni normali” dice Jeffrey Ptak, responsabile global manager research di Morningstar. “Questi cambiamenti di leadership riflettono l'interazione di fattori macroeconomici complessi che muovono i prezzi nella ricerca di un equilibrio”.

E’ quindi meglio optare per uno strumento coperto dal rischio di cambio (hedged) o no (unhedged)?

Che fare?
Come spesso accade, nel mondo degli investimenti, l’orizzonte temporale di riferimento è una variabile fondamentale per guidare le proprie scelte di allocazione del rischio.

Come scrive Patricia Oey, senior fund analyst di Morningstar: “Mentre è stato osservato che il valore di una valuta può deviare dal suo valore fondamentale nel breve termine, sono le variabili macro, come i tassi d’interesse, l’inflazione, la crescita e la bilancia delle partite correnti a determinarne il valore di lungo periodo”.

Un altro fattore importante è costituito dalle correlazioni. Portafogli non coperti dal rischio di cambio possono fornire un ulteriore elemento di diversificazione, se la correlazione tra l’andamento di una coppia di valute è bassa (o negativa)  rispetto all’investimento sottostante. Il dollaro americano è, ad esempio, una valuta rifugio, che tende quindi ad apprezzarsi nelle fasi di forte volatilità e di avverisione al rischio. Nel 2008 un investimento azionario in dollari ha fornito un elemento di protezione del capitale per gli investitori europei, perchè mentre i mercati scendevano il dollaro si apprezzava nei confronti dell’euro.

Investire in Asia
Per i mercati asiatici si pongono essenzialmente due dilemmi. Si vuole includere il Giappone? E poi, Asia o Asia Pacifico (cioè, si include anche l’Australia?)

Trattandosi di due economie grandi, la scelta ha delle conseguenze importanti. L’indice MSCI AC Pacific è infatti fortemente esposto al Giappone e all’Australia, i quali rappresentano il 56,19% dell’indice. Di conseguenza l’andamento di yen e dollaro australiano può avere effetti significativi sulle performance.

Per lo stesso motivo, i prodotti che investono in Asia ex-Giappone avranno anche un peso maggiore dei paesi emergenti. Morningstar prevede a tal fine diverse categorie per tenere conto di queste differenze: ASEAN, Asia ex Giappone, Asia Pacifico con o senza Giappone.

E’ bene notare che anche lo yen ha avuto in passato uno status di valuta rifugio. Nel 2008, ad esempio, si è apprezzato fortemente nei confronti della moneta unica. Se un euro comprava circa 170 yen a luglio 2008, a dicembre ne comprava meno di 120. Il successivo intervento di stimolo della Banca centrale giapponese, nel contesto dell’Abenomics, ha portato ad un forte deprezzamento del cambio. Ma il Qe della Bce ha di nuovo rimescolato le carte, in un gioco a somma zero dove i guadagni dell’uno sono le perdite dell’altro.

Escludendo il Giappone, uno dei panieri più diffusi è l’MSCI AC Asia Pacific ex Japan Index, che comprende 683 azioni di 12 paesi (quattro sviluppati e otto emergenti). Nell’indice le principali esposizioni valutarie sono verso il dollaro australiano (poco più del 20%), dollaro di Hong Kong (30% circa), il Won sudcoreano (13%) e il Dollaro taiwanese (12% circa). Come si sono comportate in passato le due versioni dell’indice?

Nella seguente tabella vediamo che nel periodo novembre 2007-marzo 2015, l’indice Asia Pacifico ex-Giappone “hedged” in dollari ha avuto un profilo di rischio/rendimento nettamente migliore della controparte non coperta.

Rischio rendimento indici Asia Pacifico

Ma questo dato nasconde un andamento altalenante. Qui vediamo il grafico dei rendimenti in dollari per periodi rolling di due anni (ogni mese viene cioè calcolato il rendimento relativo dell’indice MSCI AC Asia Pacific ex Japan in USD per i due anni precedenti). Le barre verdi indicano che in quel periodo l’indice “unhedged” ha avuto migliori risultati, perchè il dollaro si è svalutato relativamente alle valute rappresentate dall’indice considerato. Le barre rosse indicano, invece, che per quel periodo di due anni l’indice con copertura valutaria (MSCI AC Asia Pacific Ex Japan Hdg) ha fatto meglio. Si può vedere come nel lungo termine i due indici tendano verso un equilibrio, mentre nel breve il differenziale può essere ampio.

Rolling excess return indici Asia Pacifico - hedged vs unhedged

Conclusioni
“Nel lungo termine la differenza nei rendimenti tra strategie hedged e unhedged sui mercati azionari internazionali sviluppati non è molto significativa”, osserva Patricia Oey. Inoltre, aggiunge Ptak, “un investimento distribuito su più multinazionali comprenderà spontaneamente gli effetti di compensazione di un insieme di valute, dal momento che queste imprese fanno affari in un certo numero di paesi”. Se si investe con un orizzonte di lungo termine o se, come spesso accade, l’esposizione valutaria è residuale nel contesto di un portafoglio diversificato, può quindi non valere la pena coprire questo fattore di rischio.

“La gestione del rischio valutario”, sottolinea Kevin McDevitt, CFA, senior fund analyst di Morningstar, “richiede lo stesso tipo di visione di lungo termine che si applica ad altre decisioni di asset allocation strategica”. Conclude Ptak: “Malgrado si sia tentati di provare a gestire l’esposizione valutaria del nostro portafoglio per ottenere un particolare fine, è probabilmente meglio porsi domande fondamentali su quali sono i nostri obiettivi di lungo termine e se abbiamo strutturato il nostro portafoglio in accordo con esse”.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Francesco Paganelli

Francesco Paganelli  è Fund Analyst di Morningstar in Italia

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