Con lo scoppio della crisi finanziaria del 2008 e successivamente del debito sovrano europeo, le Banche centrali hanno cominciato a giocare un ruolo quanto mai decisivo nello scacchiere finanziario mondiale. Negli ultimi anni, infatti, le decisioni di politica monetaria delle principali istituzioni sono state il vero driver dei mercati. E questa tendenza sembra essere solo all’inizio, con il Quantitative easing della Bce da una parte e le speculazioni su un possibile rialzo dei tassi d’interesse negli Stati Uniti dall’altra; senza dimenticare l’Abenomics, la politica monetaria espansiva adottata dal governo giapponese per risollevare l’economia nipponica.
Ecco perché un investitore oculato deve essere consapevole delle conseguenze sul proprio portafoglio delle scelte di politica monetaria. La situazione opposta in cui si trovano oggi Europa e Stati Uniti offre la possibilità di comprendere quando, come e perché una banca centrale aumenti o diminuisca i tassi d’interesse.
Cosa succede se aumentano i tassi d’interesse
In generale, una Banca centrale adotterà una manovra restrittiva (cioé alzerà il saggio con cui cede denaro alle altre banche) in un momento di crescita economica, in primo luogo per contenere l’inflazione. Normalmente, alzare i tassi significa incentivare l’afflusso di denaro dagli investitori stranieri (che godranno di una remunerazione maggiore sui loro investimenti) e permette di tenere sotto controllo la speculazione sulla propria valuta. Non a caso lo si fa di solito in momenti di debolezza sul mercato internazionale dei cambi.
Nonostante le previsioni di molti analisti, la Fed non ha ancora mosso i tassi (da sette anni fermi nel range 0 - 0,25%), probabilmente perché non ancora convinta dalla ripresa economica e dal mercato del lavoro. Tuttavia, è molto probabile che questo accadrà nei prossimi mesi. E cosa succederà allora?
La risposta a questa domanda, che più di ogni altra occupa i pensieri di investitori, analisti e operatori, non è certo facile. “È molto difficile prevedere quali saranno gli effetti di un innalzamento dei tassi negli Usa, non abbiamo un modello preciso su questo scenario”, spiega Vincent Juvyns, stratigist di J.P. Morgan Asset Management. “Bisogna comunque dire che questa volta non ci sarà l’effetto sorpresa, è una mossa ampiamente attesa dai mercati; certo, quando si aumentano i tassi il mercato obbligazionario ne soffre e per le aziende significa un costo di finanziamento più alto. Tuttavia, credo che la Fed opterà per una crescita pianificata e graduale, il che aiuterà ad assorbire questo cambiamento”.
Anche gli analisti di Goldman Sachs si mostrano piuttosto tranquilli. In una nota pubblicata a fine aprile dicono: “Crediamo che il rialzo dei tassi da parte della Fed non arriverà prima di settembre e sarà comunque ben gestito dal mercato. (...) sarà la stessa banca centrale che vigilerà al fine di non deteriorare le condizioni di finanziamento, visto che la crescita economica e la creazione di credito ne avranno ancora bisogno”.
Ci saranno poi da tenere sotto osservazione le conseguenze di un dollaro più forte, che per forza di cose avrà un impatto sull’economia mondiale, a partire dal debito denominato in valuta statunitense, ai prezzi delle materie prime, fino agli effetti sulle altre valute, che potrebbero essere positivi per Europa e Giappone (che diventano più competitive con una valuta più debole) ma negativi per i paesi emergenti (più volatilità).
Cosa succede se i tassi scendono
Una banca centrale adotterà una manovra espansiva (cioé abbasserà il saggio con cui cede denaro alle altre banche) in un momento di stagnazione economica e di debole inflazione, al fine di far ripartire gli investimenti e i consumi.
La Bce ha diminuito il costo del denaro a più riprese dall’estate 2011 a oggi, fino ad arrivare al minimo storico dello 0,05%. E non si è fermata qui. A marzo è partito il Quantitative easing europeo, qualche anno dopo quello statunitense, una manovra che prevede l’acquisto di bond governativi al fine di immettere liquidità nel sistema e normalizzare il mercato obbligazionario europeo diminuendo gli spread.
Le conseguenze di queste due decisioni si sono in parte già viste: valore dell’euro in discesa (il che è una buona notizia per gli esportatori) e mercati azionari che corrono. Nessuna sorpresa da questo punto di vista, dato che con i tassi ai minimi storici gli investitori sono incentivati a rivolgersi ad asset class più rischiose per trovare rendimenti migliori.
Anche se con caratteristiche diverse, la Bce sta ripercorrendo il cammino della Fed, che ha in effetti spinto la ripresa economica americana. È probabile che nel Vecchio continente i tassi rimarranno a questi livelli nel medio periodo. Tuttavia, prima o poi anche Francoforte si troverà ad affrontare lo stesso dilemma che toglie il sonno ai colleghi dall’altra parte dell’Atlantico: scegliere la miglior exit strategy possibile su quando e come rialzare i tassi.
Scelte operative
Se da un lato occorre periodicamente ribilanciare il proprio portafoglio tenendo in considerazione anche i temi macroeconomici, dall’altro cercare di anticipare i movimenti di mercato basandosi sulle scelte di politica monetaria è un’attività rischiosa, anche se di solito si tratta di macro trend i cui effetti dovrebbero durare nel medio periodo. Nonostante in questo momento la politica espansiva della Bce sembri rendere il mercato azionario europeo più interessante di quello statunitense, fare le scelte giuste è complicato. In questi casi, quindi, è sempre bene ricordare che avere un portafoglio ben diversificato con un orizzonte temporale di lungo periodo diminuisce, almeno in parte, gli effetti di tutti questi fattori.
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