Giù le mani dal mercato azionario cinese. Mentre i listini mondiali applaudono ai tentativi delle autorità di Pechino di fermare il sell off sulle piazze della regione, i gestori di fondi specializzati sul paese del Drago si irritano e chiedono che lo stato faccia un passo indietro. La Cina è intervenuta in Borsa dopo che le vendite sui listini locali fra metà giugno e inizio luglio avevano bruciato il 30% del loro valore. Le autorità hanno reagito con una serie di misure volte a stabilizzare il mercato, tra cui tagli dei tassi d'interesse e dei coefficienti di riserva obbligatoria, la sospensione delle Ipo (che riducono la liquidità del mercato), il divieto ai maggiori azionisti di vendere i loro investimenti per sei mesi, l'imposizione di limitazioni alle vendite allo scoperto e l'incoraggiamento a banche, società di intermediazione e compagnie assicurative ad acquistare azioni.
L’intervento più deciso è giunto dalla Banca centrale cinese, che si è impegnata a fornire “abbondante liquidità” e a proteggere il paese dai rischi sistemici e regionali. Tutto sembrava essere tornato alla normalità fino a quando, nei giorni scorsi, non si è sparsa la notizia che Pechino avrebbe tolto l’aiuto all’equity. A poco sono valse le rassicurazioni arrivate da Zhang Xiaojun, portavoce della China Securities Finance Corporation (l'agenzia statale che per conto della Banca centrale cinese inietta liquidità nel mercato azionario locale). Il funzionario ha spiegato in una nota che il sostegno all'azionario non è stato ritirato e che l'agenzia continuerà i suoi sforzi volti a stabilizzare il mercato e l'umore degli investitori e a prevenire rischi sistemici.
“Non ci piace che il governo intervenga sui mercati e non vogliamo che questi vengano manipolati”, spiega David Park, gestore di Carmignac Emergent Fonds. “E’ un segnale di non investire in quelle piazze perché la loro direzione non è più determinata da un rapporto efficiente fra domanda e offerta”. Sulla stessa lunghezza d’onda Wim-Hein Pals, responsabile dell’azionario mercati emergenti di Robeco. “In linea di massima non ci piacciono le ingerenze sulle Borse, spiega. “Le misure cinesi non sono buone per lo sviluppo dei mercati di capitali del paese”.
Rischi per l’economia reale?
Sulle piazze internazionali, intanto, resta il timore che la crisi di Borsa possa spostarsi all’economia reale mettendo a rischio la zona emergente più interessante per le imprese occidentali. Una paura che, però, non tutti condividono. “Anche se probabilmente il mercato azionario cinese rimarrà volatile nel breve periodo, riteniamo che l'impatto sull'economia reale del paese sarà limitato, poiché la debolezza delle Borse si sta verificando in un contesto di aumento della liquidità”, spiega una nota firmata da Mark Burgess, Chief Investment Officer EMEA e Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments.”Vale la pena di ricordare che il finanziamento con capitale di rischio ha iniziato ad assumere maggiore rilievo in Cina solo di recente: le banche e i mercati obbligazionari rimangono la principale fonte di finanziamento per le società. La durata del boom dei mercati azionari e ora la sua discesa sono stati troppo brevi per poter avere effetti significativi sul benessere finanziario del paese”.
Resta il fatto che, dal punto di vista congiunturale la Tigre asiatica qualche problema di forma lo mostra . “Il PMI manifatturiero flash a luglio è sceso inaspettatamente e per il quinto mese sotto la soglia di espansione, suggerendo il perdurare di un'incertezza sulla crescita del terzo trimestre”, dice un report firmato da Marco Vailati e Serge Escudè dell’Ufficio ricerca e investimenti di Cassa Lombarda. “L’economia dovrebbe contare sulla ripresa del mercato immobiliare per sostenere la stabilizzazione della crescita, ma nessun miglioramento evidente è probabile a causa dei vincoli strutturali dell'economia”.
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