Il mondo non produce quanto dovrebbe. O, per lo meno, non abbastanza da giustificare le dichiarazioni di ottimismo sull’andamento macro che arrivano soprattutto dalla politica (italiana e internazionale). Le prime ad accorgersene sono state, come al solito, le Borse. E non a caso l’indice Msci World nell’ultimo mese (fino all’11 settembre e calcolato in euro) ha perso l’8,8%, portando a un deludente +3,5% la performance da inizio anno. Se ne sono rese conto le istituzioni finanziarie come il Fondo monetario internazionale, secondo cui “i rischi a danno dell'economia globale sono aumentati” e per cui la probabilità di revisioni al ribasso del Pil “è una preoccupazione crescente”. Ne stanno avendo la conferma i risparmiatori, le imprese e le famiglie che lo stavano intuendo da tempo e che accolgono scuotendo la testa i dati che vengono snocciolati dalle diverse agenzie internazionali sull’andamento del settore manifatturiero.
Cosa dicono i numeri
I numeri, in questo senso, lasciano poco spazio ai dubbi. In Cina, il mese scorso, il comparto ha toccato il suo livello più basso da più di sei anni (77 mesi) a questa parte. L'indice dei direttori di acquisto (Pmi) di Caixin (prima era sponsorizzato da Hsbc) ad agosto è scivolato - in un rilevamento preliminare - a 47,1 punti dai 47,8 di luglio. L’attesa degli analisti era per una crescita a 48,1 punti. Negli Stati Uniti, intanto, l'indice Ism del settore manifatturiero è sceso a 51,1 punti dai 52,7 di luglio. Secondo l’Institute for Supply Management, che ha elaborato il dato, è il livello più basso degli ultimi due anni.
Le cose sembrano andare meglio in Europa dove, sempre nel mese di agosto l’indice Pmi manifatturiero è sceso a 52,3 punti, dai 52,4 punti del mese precedente. Ma, mentre il numero conferma come il settore nel Vecchio continente resti in fase di espansione, indica anche che il comparto si sta avvicinando pericolosamente al livello di 50 (il limite che separa le fasi di crescita da quelle di contrazione).
Negli emerging, intanto, la situazione sta precipitando, come ha dimostrato di recente la decisione di Standard and Poor's di declassare i titoli del debito del Brasile (uno degli ex campioni che, insieme a Russia India e Cina, formavano i cosiddetti Bric, come venivano chiamati i paesi in via di sviluppo su cui, secondo gli analisti, bisognava assolutamente investire) a BB+, cioè un livello considerato “spazzatura” (junk). Il rating ha fatto entrare i titoli di Brasilia nella classificazione “speculative grade”, in cui il loro eventuale acquisto è da considerarsi un azzardo.
Le scelte operative
Dal punto di vista operativo, la scelta più indicata in periodi come questi è quella di inserire in portafoglio società con un grande vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza (ad esempio quelle che, secondo Morningstar hanno un Economic moat definito ampio o wide). “Si tratta di società che, in passato hanno dimostrato di saper navigare in qualsiasi condizione di mercato”, spiega Michael Holt, responsabile dell’analisi azionaria di Morningstar. “Le società con un moat ampio sono quelle per le quali siamo molto sicuri che riusciranno a generare profitti in crescita per i prossimi 10-20 anni. Nello stesso periodo di tempo dovrebbero essere in grado anche di aumentare il gap che le separa dalle società concorrenti”.
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