Come altri investitori, anche i gestori collettivi fanno ricorso agli strumenti finanziari derivati (categoria eterogenea che presenta come caratteristica comune quella di “derivare” il proprio valore da un determinato sottostante, come altri strumenti finanziari, tassi di interesse, valute, indici e merci) per svariate ragioni: per coprirsi dai rischi derivanti dall’esposizione a un sottostante (c.d. finalità di hedging); per pura speculazione, approfittando dell’effetto leva tipicamente garantito da tali strumenti; per arbitraggio, sfruttando differenze di prezzo in diversi mercati degli stessi prodotti o dei relativi sottostanti.
Si tratta di prodotti complessi e sofisticati, in grado potenzialmente di aumentare in modo significativo la rischiosità dei prodotti di risparmio gestito, e per questo guardati con sospetto dal legislatore comunitario e nazionale: si intende infatti evitare che i gestori esasperino l’utilizzo degli strumenti derivati per ricercare overperformance,esponendo però i patrimoni gestiti al rischio di subire forti perdite, con danno per gli investitori.
La normativa di riferimento
Focalizzandoci sulla direttiva 2009/65/CE (c.d. “direttiva UCITS IV”) e sulla relativa regolamentazione di attuazione e di recepimento, tre sono i principali profili di interesse: la previsione di limiti agli investimenti in strumenti derivati nelle politiche di investimento dei fondi; la gestione e il monitoraggio dei rischi assunti; i presidi di trasparenza nei confronti degli investitori.
Iniziando dai limiti agli investimenti, i fondi/Sicav presi in considerazione dalla sopra citata direttiva (gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari, c.d. OICVM) non possono presentare un’esposizione massima connessa agli strumenti derivati superiore al valore netto del portafoglio gestito, tenendo conto del valore corrente del patrimonio sottostante, del rischio di controparte, degli andamenti futuri del mercato e del periodo di tempo necessario per liquidare le posizioni.
Particolari cautele sono poi previste in caso di operazioni bilaterali concluse al di fuori di un mercato regolamentato. È infatti previsto che il fondo non possa assumere un’esposizione complessiva superiore al 10% del proprio patrimonio nei confronti di una stessa controparte, nel caso in cui la controparte sia una banca; in tutti gli altri casi, l’esposizione non può superare il 5% del totale delle attività. Al fine di conseguire una riduzione dell’esposizione complessiva verso la stessa controparte, il gestore può comunque ricorrere a strumenti quali la stipulazione di accordi di compensazione contrattuale (che prevedono il netting automatico tra le esposizioni, cosicché tutte le reciproche obbligazioni di pagamento derivanti dalle varie operazioni sono sostituite da un’unica obbligazione di pagamento) o la costituzione in garanza di specifiche attività.
Il parere dell’ESMA
La rilevanza assegnata alla conclusione o meno in mercati regolamentati ai fini della valutazione del rischio di controparte è stata recentemente criticata dall’ESMA, l’Autorità di Vigilanza Europea di settore, nella propria Opinion del 22 maggio 2015. A suo avviso, infatti, occorre tener conto delle previsioni del regolamento comunitario 648/2012 (c.d. EMIR), che ha introdotto l’obbligo di compensazione presso controparti centrali di determinate operazioni in strumenti derivati conclusi over the counter. Il criterio fondamentale, quindi, dovrebbe oggi essere non tanto la sede di negoziazione, quanto la sottoposizione o meno all’obbligo di clearing della categoria di derivato in questione: infatti, l’intervento di una controparte centrale dovrebbe eliminare o quantomeno ridurre significativamente i rischi derivanti dall’eventuale inadempimento della controparte contrattuale dello strumento derivato concluso dal fondo. Semmai, secondo l’ESMA, andrebbero analizzate le caratteristiche delle singole controparti centrali utilizzate e le concrete modalità di segregazione delle posizionidei fondi offerte dalle controparti centrali e dai clearing member di cui eventualmente ci si avvale.
La gestione del rischio
Venendo alla gestione e al monitoraggio dei rischi assunti, i gestori sono tenuti ad adottare una procedura che consenta loro di controllare e valutare in ogni momento il rischio delle posizioni e la rilevanza di tale rischio rispetto a quello generale del portafoglio gestito, nonché una procedura che permetta una valutazione precisa e indipendente del mark to market degli strumenti derivati OTC.
Sempre in tema di strumenti derivati non negoziati in mercati regolamentati, le relative operazioni devono poter essere chiuse a discrezione del gestore in qualsiasi momento, al relativo fair value. Si impone in definitiva l’inserimento nei contratti (e l’ISDA-International swaps and derivatives association si è adeguata, aggiornando la propria documentazione standard) di una facoltà di recesso dalle singole transaction, che rappresenta una importante deroga rispetto alle clausole in uso nella prassi internazionale.
Obblighi di trasparenza
Quanto ai profili di trasparenza, infine, la normativa comunitaria e nazionale si preoccupa di garantire alla clientela chiara evidenza, nei KIID dei prodotti di risparmio gestito, della politica di investimento seguita e della possibilità di investimento in strumenti derivati, nonché i riflessi sul profilo di rischio del fondo, qualora siano usati per ottenere, aumentare o ridurre l’esposizione alle attività sottostanti.
L’utilizzo degli strumenti derivati, e l’eventuale esposizione alla leva finanziaria del patrimonio gestito che ne consegue, potrà influire anche sulla qualificazione del fondo come “prodotto complesso”, ai sensi della Comunicazione della Consob del 22 dicembre 2014.
Da ultimo, per quanto riguarda i fondi alternativi, la cui struttura e composizione è disciplinata dal legislatore nazionale in quanto la direttiva AIFMD si occupa dell’attività dei gestori e non dei prodotti, occorre distinguere tra fondi riservati (a investitori professionali oppure non professionali che sottoscrivono o acquistano quote o azioni dei fondi per un importo complessivo non inferiore a cinquecentomila euro) e non riservati: in ordine ai primi, non sono previsti limiti specificamente dedicati agli investimenti in strumenti derivati; in relazione ai secondi, il regolatore ha definito restrizioni analoghe a quelle finora esposte con riferimento agli OICVM.
L'articolo è stato redatto da Francesco Mocci, avvocato dello Studio Zitiello e Associati.
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