Un 2016 simile, non uguale al 2015. Partono da questo presupposto le strategie che stanno mettendo in campo le diverse case di gestione per prepararsi al prossimo anno. Viene ormai dato per scontato che tutte le economie si troveranno ad affrontare sfide che richiederanno maggiori iniziative politiche e fiscali rispetto al passato, poiché agli attuali livelli dei tassi d’interesse, pari o prossimi allo zero, i forti stimoli monetari trasmessi dal Quantitative easing (QE) stanno venendo meno. Ma se è vero che la Federal Reserve si prepara a mettere la parola fine alla fase accomodante e che l’ultima manovra della Bce ha deluso i mercati, è anche vero che le strategie di investimento non potranno prescindere dalle decisioni degli istituti di politica monetaria. La manovra restrittiva attesa da quello americano, ad esempio, sarà solo la prima di una serie che riporterà il costo del denaro a livelli di normalità (tenendo conto delle condizioni macro che si presenteranno). L’Eurotower, intanto, non ha escluso di aumentare nei prossimi mesi il calibro dei proiettili del suo bazooka (anche se è stata piuttosto vaga sulla tempistica).
Insomma, nel 2016 gli occhi continueranno a essere puntati sulle banche centrali. “I tassi d’interesse abbandoneranno i livelli di emergenza negli Stati Uniti, ma la politica monetaria resterà molto accomodante in Europa e in Giappone, dove le rispettive Banche centrali potrebbero decidere di attuare ulteriori misure di sostegno alla crescita”, dice un report di Mark Burgess, responsabile degli investimenti nell’area Emea e nell’azionario globale di Threadneedle. “Nel Regno Unito, le attuali valutazioni del mercato obbligazionario lasciano presagire che non osserveremo alcun rialzo dei tassi prima del 2017”.
Il faro sugli emerging
Osservati speciali restano anche gli emerging, la grande promessa che gli investitori stanno aspettando da anni. “Se paragoniamo le nostre previsioni economiche iniziali con il risultato effettivo del 2015, dobbiamo ammettere che i tassi di crescita mondiale hanno di nuovo deluso le nostre aspettative”, spiega un report firmato da Christophe Bernard, Chief strategist di Vontobel. “Le cause non sono da ricercare né negli Usa, colpiti da un primo trimestre debole a causa di fattori meteorologici eccezionali, né nell’Eurozona, che ha evidenziato un’ammirevole resistenza. La radice del problema risiedeva nella persistente debolezza delle economie emergenti. L’effetto combinato del rallentamento economico in Cina e del crollo dei prezzi delle materie prime ha inferto un duro colpo ai mercati in via di sviluppo, soprattutto Brasile e Russia”.
In generale i gestori pensano che nel 2016 il quadro relativo ai mercati emergenti resterà difficile, soprattutto per quei paesi che hanno costruito le loro economie per soddisfare la domanda di commodity cinese. Per questi mercati le prospettive sono cupe e l’indebolimento delle valute potrebbe non contribuire a stimolare la domanda di esportazioni dei mercati emergenti nei paesi in cui la domanda di consumatori e società è modesta. In uno scenario mondiale in cui gli Usa attuano un inasprimento della politica monetaria mentre altre Banche centrali mantengono un orientamento accomodante, il dollaro dovrebbe rafforzarsi, a parità di tutte le altre condizioni. Ciò si tradurrà probabilmente in ulteriori difficoltà per le economie emergenti, data la forte correlazione negativa tra il dollaro e questi paesi.
Più equity
“Rimaniamo del parere che l'economia globale stia lentamente migliorando. In tale contesto, raccomandiamo che gli investitori conservino un approccio pro-ciclico”, scrive in un report Loredana La Pace, responsabile per l’Italia di Goldman Sachs Asset Management. “Di conseguenza, nonostante i livelli delle valutazioni relativamente elevate in molti mercati sviluppati, manteniamo posizioni di sovrappeso nei mercati azionari come interessante fonte di rendimenti corretti per il rischio per il 2016. Per quanto riguarda i mercati emergenti, riteniamo che l'ampia ondata di vendite che ha colpito questa classe di attivi abbia creato una lunga lista di opportunità di investimento interessanti, soprattutto quando si tratta di micro-opportunità offerte da settori o titoli specifici”.
Occhio ai bond
Per quanto riguarda il mercato obbligazionario, la ricerca di rendimento continuerà a interessare soprattutto il debito aziendale. “E’ difficile immaginare che i tassi di default crescano molto rispetto ai livelli attuali”, spiega Jim Leaviss, responsabile del team Retail Fixed Income di M&G Investments. “I fondamentali stanno lentamente deteriorandosi, ma al di fuori dei titoli legati all'energia e alle materie prime, gli spread sembrano remunerare più che a sufficienza gli investitori per i rischi di credito assunti. I rischi di liquidità restano tuttavia elevati, in quanto la crescita degli asset del mercato dei bond corporate è stata accompagnata da una contrazione della capacità e della volontà delle banche di investimento di detenere obbligazioni sui loro bilanci. A nostro avviso gli investitori vanno remunerati sia per il rischio di credito che di liquidità e devono detenere un portafoglio con maggiori strumenti di liquidità e di reddito fisso”.
Dopo un lungo periodo in cui sembravano essere di moda, invece, l’entusiasmo sui junk bond si sta ridimensionando. Nel segmento high yield probabilmente assisteremo a un aumento dei default dopo che i tassi saranno saliti”, spiega una nota di Chris Iggo, responsabile degli investimenti nel reddito fisso di Axa Investment Managers. “Quindi gli investitori dovrebbero essere ricompensati per il rischio di credito assunto. Ma tutto ruota attorno agli interventi della banca centrale americana, all’andamento dell’inflazione e alla conseguente reazione dell’economia e dei mercati”.
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