Dare un senso alla volatilità dei mercati. E’ l’attività che più ha impegnato economisti, strategist e gestori nel primo mese del 2016. Tutta colpa della Cina? O del prezzo del petrolio? Oppure in Borsa si aggira lo spettro della recessione?
Ipotesi n. 1: la Cina
“Non c’è nessuna evidenza di un collasso dell’economia dell’ex Celeste impero”, dice Francisco Torralba, senior economist di Morningstar investment management. “All’interno di uno strutturale rallentamento della crescita, ci sono segnali di ripresa”. Il tanto temuto hard landing (ossia un anno di Pil a zero o negativo) non sembra dunque all’ordine del giorno. Al contrario, i consumi sono robusti, i dati sulle esportazioni buone e le autorità governative fanno di tutto per sostenere la congiuntura.
Ipotesi n.2: il petrolio
Il prezzo del petrolio è sceso rapidamente negli ultimi sette mesi, perdendo circa il 60%. Il valore reale del Brent (contratto del greggio del mare del Nord) è al livello più basso degli ultimi 14 anni. Perché le Borse reagiscono così bruscamente al ribasso delle quotazioni dell’oro nero? Una possibile spiegazione è la paura per i riflessi sulle aziende produttrici e sui paesi esportatori. Un’altra visione è che i prezzi incorporino un rallentamento congiunturale molto più forte di quello che è previsto dagli operatori. Anche in questo caso i timori di recessione dominano. Torralba, tuttavia, ricorda che “non ci sono solide prove sul fatto che il barile sia un indicatore chiaro dell’andamento dell’economia”.
Ipotesi n.3: l’incertezza
Probabilmente gli economisti hanno dovuto stracciare molte delle loro previsioni negli ultimi tempi. In realtà, la spiegazione alla volatilità del primo mese del 2016 potrebbe essere nel sentiment degli operatori. “Sui mercati è aumentata l’incertezza”, dice Torralba, “come conseguenza della de-sincronizzazione delle politiche monetarie delle Banche centrali”. Ad essa si aggiunge l’effetto “gregge”, che spinge a comportarsi tutti nello stesso modo. Il ragionamento è “se vendono gli altri vuol dire che sanno qualcosa di brutto che io non conosco, per cui preferisco vendere anche io”.
I temi del 2016
Se sgombriamo il campo dalle spiegazioni di breve termine, appaiono più chiari i temi su cui gli investitori dovranno concentrarsi nel 2016.
Il primo è il rallentamento dell’economia mondiale, i cui segnali iniziali si sono visti nel 2011, a dispetto delle previsioni di una ripresa quest’anno. Le principali cause sono i paesi emergenti, penalizzati dal calo delle materie prime (non solo il petrolio) e dalla frenata della Cina, e una minore crescita della produttività nel mondo sviluppato, dove gli Stati Uniti sono vicini al picco del ciclo.
Il secondo è la divergenza nelle politiche monetarie, con la Federal Reserve che continuerà ad alzare i tassi di interesse, anche se gradualmente, e la Bce, la Bank of Japan e quella cinese che saranno invece costrette a mantenere o accelerare le misure espansive. Infine, gli istituti centrali dei paesi emergenti dovranno fare fronte alla svalutazione delle divise locali, i deflussi di capitali esteri, l’inflazione e una crescita più bassa.
Il terzo è l’apprezzamento del dollaro che, secondo Torralba, proseguirà se non ci saranno cambiamenti nella congiuntura e nella direzione della politica monetaria americana. Inoltre, il biglietto verde è considerato un bene-rifugio in tempi di incertezza come l’attuale.
Il quarto tema è la discesa del renminbi. “I deflussi di capitali dalla Cina spingono in ribasso la divisa”, spiega l’economista di Morningstar. “Inoltre, è possibile che la Banca centrale usi l’indebolimento della valuta per combattere il rallentamento dell’economia”.
Le ragioni dell’Orso
Nel medio-termine, ci sono, dunque, diverse ragioni per essere pessimisti (ma non catastrofisti): la Cina, il debito esterno dei paesi emergenti e l’avanzato stato del ciclo di crescita americano. A questo si aggiunge il fatto che il lungo periodo di bassi tassi di interesse ha aumentato il rischio di una bolla speculativa.
Modalità risk-off
Nel primo mese dell’anno gli investitori hanno “spento il rischio”. Sono pochi gli indici con rendimento positivo, tutti difensivi. Oltre all’oro, figurano i titoli di stato americani a lungo termine e il Bund tedesco decennale. Tra i peggiori benchmark, invece, troviamo il settoriale sulle banche italiane (e più in generale i titoli finanziari), sul petrolio e sulla Cina (vedi tabella).
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