L’azionario cinese allunga il passo verso gli indici globali costruiti da Msci. E in questo modo, sperano le autorità di Pechino, verso nuovi portafogli di investitori che utilizzano questi panieri come benchmark o sottostante per le loro strategie. Secondo i calcoli effettuati dagli analisti di Goldman Sachs, c’è ora il 70% di possibilità che l’equity del colosso emergente asiatico cambi la composizione di alcuni dei benchmark più utilizzati dagli investitori (e dagli strumenti finanziari) di tutto il mondo.
Il merito dell’accelerata (le probabilità erano al 50% ad aprile) va soprattutto a Pechino che, nelle ultime settimane, ha spinto alcune iniziative per aprire maggiormente il mercato borsistico domestico (che vale, secondo alcune stime, 5.600 miliardi di dollari) agli operatori internazionali. Fra queste ci sono nuove normative riguardo al blocco delle contrattazioni dei titoli sulle Borse locali (che erano stati introdotti nei mesi scorsi per controllare la volatilità. Attualmente sulle piazze cinesi ci sono 311 titoli che aspettano di rientrare in contrattazione) e regole più chiare per quanto riguarda la trasparenza. Soprattutto per quanto riguarda il Beneficial ownership (la reale titolarità di quote di aziende che, dal punto di vista normativo e fiscale, ha sempre permesso manovre poco chiare).
Cosa resta da fare
Nell’elenco delle cose da sistemare per alzare le possibilità di un’inclusione delle stock Made in China nei panieri internazionali ci sono l’eliminazione del limite del 20% al rimpatrio dei guadagni in conto capitale e l’eliminazione di alcuni codicilli della normativa in materia finanziaria che impediscono una reale concorrenza fra i prodotti indicizzati. La spinta finale, comunque, potrebbe arrivare dalla partenza del programma che, di fatto, permetterebbe di poter scambiare gli stessi i titoli sia sulla Borsa di Hong Kong che su quella di Shenzen. E’ da tempo che la Cina sta affrontando il problema di rendere sempre più appetibile il suo mercato borsistico. Le aziende di grandi dimensioni del paese, dal punto di vista dei listini, sono divise in tre gruppi: quelle quotate a livello locale con azioni chiamate di tipo A; quelle presenti sulla Borsa di Hong Kong contrassegnate dalla lettera H; quelle sui listini di New York attraverso gli American Depositary Receipt (Adr). Gli investitori stranieri interessati alla Cina fino a poco tempo fa potevano rivolgersi soltanto agli ultimi due mercati. A novembre del 2014, però, è stato avviato un progetto per aprire agli stranieri, tramite Hong Kong, anche i mercati di Shanghai (collegamento già operativo) e Shenzen (entro la fine dell’anno). Questi sforzi per facilitare gli investimenti cross border si aggiungono al programma Qualified Foreing Institutional Investor (Qfii) che, a partire dal 2002, ha permesso l’operatività sulle azioni di classe A ad alcuni operatori selezionati. Gli investimenti in base a questo programma, tuttavia, vengono ripartiti per quote regolate sui flussi di trading. Che è poi il motivo per cui non ha mai avuto un grande successo.
Occhio ai tempi e alla volatilità
Tutto questo significa che le azioni cinesi da un giorno all’altro invaderanno i portafogli degli investitori globali? Probabilmente lo sbarco non seguirà immediatamente l’inclusione dei titoli nei panieri Msci. “La maggior parte delle società del paese, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, è controllata dallo stato”, spiega Patricia Oey, analista di Morningstar. “E gli operatori guardano sempre con sospetto le società dove comanda la politica. Detto questo, con il tempo i risparmiatori e i money manager si dovranno adeguare alla composizione dei nuovi panieri, soprattutto se vorranno minimizzare il traking error. Quando questo accadrà, bisognerà abituarsi a nuovi gradi di volatilità dei portafogli e si dovranno trovare nuovi sistemi per controllarla o sfruttarla. Una delle caratteristiche delle azioni cinesi, infatti, è quella di andare spesso in altalena”.
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