Con i “se” e con i “ma” non si fa la storia; tuttavia la vittoria del “sì” per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea si presta molto a questo gioco di ipotesi e contrapposizioni. Il motivo è l’effetto sorpresa che ha avuto sui mercati. Il mini-rally delle Borse nei giorni precedenti il 23 giugno è la prova che l’esito del voto era stato largamente sottostimato. Di qui il brusco shock che è seguito alla notizia e la forte volatilità dei giorni successivi.
Sulle ipotesi si sono esercitati molto gli strategist, i gestori e gli economisti prima del referendum: cosa succederà se vincerà la corrente del leave e se la maggioranza sarà per il remain? Lo stesso accade ora che gli inglesi hanno espresso il loro voto, perché si ragiona sulle conseguenze per Londra, le possibili ondate disgregative dell’Unione in altri paesi, come la Francia e l’Italia, il ruolo della Scozia, le probabilità che le banche e le società finanziarie spostino le loro sedi nel continente. E i mercati leggono tutto questo in un solo modo: incertezza.
Cosa insegna la storia
Ecco allora che diventa facile cercare spiegazioni e possibili evoluzioni nei passati periodi di volatilità delle Borse: la bolla tecnologica nel 2000, il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 o la crisi del debito sovrano nel 2011. Ma, per dirla con le parole di John Rekenthaler, Vice president della ricerca Morningstar, “ogni crisi finanziaria è differente”. Brexit crea i presupposti per un cambiamento strutturale, non ciclico, sui mercati, oltre che nell’economia, nelle relazioni politiche e sociali.
Dal punto di vista degli investimenti, tra i “se” e i “ma”, l’unico punto fermo sembra essere il fatto che i momenti di svolta del mercato non sono mai evidenti finché non accadono. Quello che stiamo vivendo, dunque, potrebbe esserlo, ma anche non esserlo. Possiamo speculare su chi in passato ha predetto tali fasi; tuttavia la storia ci insegna che gli eroi del 1987 (che evitarono il crash del 19 ottobre di quell’anno, ricordato come il Lunedì nero) non sono stati così bravi a intuire gli shock successivi e così è accaduto anche nei crolli più recenti.
Come dice Rekenthaler, “sicuramente ci saranno dei gestori che guadagneranno dall’attuale mercato Orso, ma purtroppo noi investitori non sappiamo ora chi sono, molto probabilmente sono nuovi arrivati e con altrettante probabilità non riusciranno ad essere così bravi in future occasioni”.
Bravi o fortunati
Possiamo lanciarci in una caccia al talento del momento, così come i trader cercano di cogliere le opportunità di guadagno in Borsa, ma rischiamo di trovare i gestori “fortunati” non quelli “bravi”. Personalmente io sto con questi ultimi e preferisco un approccio fondamentale e non emotivo, che tenga conto delle abilità del manager durante la sua intera carriera, delle capacità del team che lo supporta, della solidità del processo di investimento (tutti fattori che gli analisti di Morningstar prendono in considerazione per l’assegnazione dell’Analyst Rating, giudizio qualitativo su un fondo, che ha un valore predittivo sulle potenzialità di sovraperformance del fondo). Magari potrà eccedere nella prudenza e farmi perdere qualche occasione di guadagno; oppure potrà sembrare controcorrente, ma con un bravo gestore sono molto più sicura di raggiungere i miei obiettivi finanziari di quanto non lo sia a giocare con la fortuna.
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