Con la Brexit alle spalle, i referendum sulle riforme costituzionali italiane in arrivo a ottobre e i risultati sugli stress test attesi per fine luglio, gli investitori internazionali sono sempre più preoccupati per il futuro del sistema bancario del Belpaese. Un universo, quello degli istituti di credito tricolore che, secondo le stime di Morningstar, deve fare i conti con 340 miliardi di euro di crediti inesigibili (i cosiddetti Non performing loan) e che ha bisogno di capitali freschi per almeno 70 miliardi. Eppure, dicono gli analisti di Morningstar in uno studio del 12 luglio 2016 intitolato Is the Italian banking System insolvent. Reforms are finally coming to the Italian banking system, but at a stiff price, questa situazione di incertezza crea anche delle possibilità di investimento nel comparto degli istituti di credito.
La sfida di Unicredit…
“Crediamo che Unicredit abbia da affrontare una delle sfide più grandi all’interno del comparto”, spiega il report firmato Stephen Ellis, responsabile per la ricerca sui titoli finanziari. “Ha bisogno di coprire almeno 15 miliardi di deficit. Circa 10 miliardi potranno essere recuperati con un aumento di capitale. Il resto potrà essere raccolto con la cessione di asset (le probabili candidate sono le banche controllate in Germania, Polonia e altri paesi del centro Europa) o con l’intervento di altri finanziatori come il fondo di private equity Pillarstone di KKR (creato apposta per lavorare con le banche, Ndr), la cartolarizzazione delle sofferenze (il cosiddetto Gacs, Ndr) o l’intervento di altri fondi tipo Atlante (sempre che si trovino soggetti disposti a finanziarlo)”.
…e quella di Intesa
Una situazione simile a quella di Unicredit la deve affrontare Intesa Sanpaolo. “Ha bisogno di almeno 14 miliardi”, spiega Ellis. “Circa 10 di questi possono essere trovati con un aumento di capitale. Per il resto, invece, deve contare sugli interventi di soggetti tipo Pillarstone o Atlante e sulle cartolarizzazioni. La vendita di asset all’estero, infatti, è più complessa, visto che si tratta di istituti di piccole dimensioni con cui sarebbe difficile ottenere i soldi di cui hanno bisogno”.
Il ruolo delle fondazioni
Per risolvere i problemi del resto del sistema bancario ci vorrebbero altri 40 miliardi. Una strada potrebbe essere quella delle aggregazioni fra le fondazioni che controllano gli istituti di credito. “Un discorso a parte merita Monte dei paschi che ha bisogno di 9 miliardi”, spiega l’analista di Morningstar. “Per il momento è al di fuori delle discussioni fra le fondazioni, ma è evidente che non può stare da solo a lungo”.
Ne approfitta Mediobanca
In mezzo a questo quadro, chi sembra avere una posizione invidiabile è Mediobanca. “L’istituto potrebbe beneficiare del cambiamento dello scenario bancario italiano in diversi modi”, spiega Ellis. “Primo: mentre le altre banche si consolidano potrebbe fare da advsior portando a casa ricche commissioni. Secondo: avrebbe un maggior potere sui prezzi dei prestiti (in aumento) e sugli interessi sui depositi (in diminuzione) perché opererebbe in un contesto con minore concorrenza. Un processo simile lo si è visto dopo il consolidamento in Spagna. Terzo: il consolidamento delle fondazioni e la necessità dei grandi istituti di raccogliere capitale permetterà alla banca retail di Piazzetta Cuccia (CheBanca) di accelerare la crescita e di guadagnare altre fette di mercato, diminuendo al contempo i suoi costi strutturali. Quarto: se Unicredit e Intesa metteranno in vendita alcuni loro asset (probabilmente a prezzi interessanti), Mediobanca potrebbe comprare quelli che meglio si adattano al suo modello di business”.
Mettere a posto il sistema bancario italiano, aggiunge Ellis, potrebbe portare diversi benefici al paese. “Nel breve termine la rivoluzione potrebbe avere effetti sul Pil dando comunque la sicurezza che si stanno facendo le mosse nella giusta direzione per affrontare i problemi. Ci aspettiamo che nella fase di ristrutturazione il Pil cresca di circa l’1% mentre molti osservatori dicono 0% (o anche meno) nel periodo 2016-2018. Alla fine, la riforma del sistema creditizio unita alle altre riforme strutturali del paese (del lavoro, legislative e altro) permetteranno all’Italia di registrare una crescita del Pil del 2%. Questo anche perché le banche non saranno più appesantite dai Non performing loan che riducono la loro capacità di fare prestiti”.
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