Malgrado la maggiore volatilità, i paesi emergenti hanno regalato soddisfazioni negli ultimi quindici anni, con un rendimento annualizzato dell’indice MSCI Emerging Markets NR in dollari di poco superiore al 9%, contro il 4,9% annualizzato dell’MSCI World NR USD (l’indice rappresentativo dei mercati azionari di 23 paesi sviluppati). Negli ultimi mesi, però, sono emersi alcuni trend interessanti nel radar degli investitori.
1. Le Performance
Nel 21esimo secolo gli emergenti hanno battuto i paesi sviluppati nella maggior parte dei periodi rolling di 36 mesi. Ma ultimamente la musica è cambiata, anche grazie alla straordinaria performance del mercato americano, che rappresenta ormai quasi il 60% dell’MSCI World. Nei cinque anni fino a fine giugno 2016 gli emergenti hanno voltato a sud, realizzando una performance negativa (-3,8% annuallizato, in dollari), mentre i paesi sviluppati correvano (+6.6% annualizzato, in dollari). Il triennio gennaio 2013 - dicembre 2015 è stato il peggiore per gli emergenti nel confronto con i paesi sviluppati, con una sottoperformance del 16,4%.
2. Le valutazioni
E’ importante notare come la crescita dell’indice MSCI World dei mercati sviluppati abbia avuto l’effetto di far aumentare notevolmente le valutazioni azionarie. Al contrario, quelle dei mercati emergenti sono rimaste relativamente stabili, aprendo un gap tra i due indici che è andato via via ampliandosi negli ultimi cinque anni. A dirlo sono i dati su diversi multipli di mercato degli indici analizzati, come il rapporto prezzo-utili (P/E, dove gli utili per azione sono quelli stimati per l’attuale anno fiscale). Nel frattempo, il dividend yield è arrivato vicino ai massimi da cinque anni per gli emerging markets (in blu), mentre il Return on Equity (ROE, rapporto tra reddito netto e mezzi propri degli ultimi dodici mesi) delle società emergenti è rimasto stabilmente al di sotto di quelle del mondo sviluppato negli ultimi due anni, una dinamica che probabilmente ha anche a che fare con lo stato di salute dei settori economici rappresentati.
3. I settori
L’esposizione settoriale può giocare brutti scherzi. L’indice MSCI Emerging Markets ha un’impostazione più ciclica e meno difensiva rispetto all’MSCI World. Il settore healthcare, per esempio, è quasi assente nell’indice emerging markets, avendo la ponderazione più bassa (2,7%), mentre nell’indice MSCI World dei paesi sviluppati il suo peso è del 13%. Spesso, però, le big pharma quotate sui listini di paesi sviluppati hanno comunque un’esposizione rilevante ai mercati emergenti, un elemento che gli investitori dovrebbero tenere presente. Allo stesso modo, i settori finanziario e tecnologico pesano ciascuno oltre il 20% nell’indice MSCI EM e dunque possono avere un impatto sulle performance maggiore di quanto osservato nell’indice MSCI World.
4. Il nodo Cina
Il 14 giugno scorso la società MSCI ha annunciato di aver rimandato l’inclusione delle A-shares cinesi nel suo indice dei paesi emergenti, che attualmente include solo le società quotate “offshore” sulla borsa di Hong-Kong (storicamente quelle di dimensioni più grandi e finanziariamente più solide in cerca di una base di investitori globale). Questa mossa avrebbe implicazioni importanti: la Cina è già il principale paese nell’indice MSCI Emerging Markets (con una ponderazione a giugno 2016 del 25,8%). L’eventuale inclusione delle A-shares potrebbe quindi portare il peso della Cina vicino al 50% dell’indice. Chi investe nelle azioni di mercati emergenti, e soprattutto chi utilizza fondi passivi o Etf, dovrebbe pertanto valutare se una simile concentrazione è desiderabile. Tra le ragioni della decisione di MSCI vi è la necessità di monitorare l’efficacia del programma di quote QFII (Qualified Foreign Institutional Investor) e di apertura del mercato dei capitali, oltre all’efficacia delle nuove politiche di sospensione delle contrattazioni. Inoltre, è stato annunciato che l’indice MSCI Pakistan sarà riclassificato tra i mercati emergenti a maggio 2017, mentre non è prevista la revisione della classificazione della Corea del Sud come paese sviluppato.
5. Le valute al tempo del QE
Morningstar ha evidenziato in passato come nel lungo termine, per i comparti azionari, il fattore valutario perda rilevanza. Nel breve termine, però, il tasso di cambio può avere un impatto importante sulle performance di un investimento. Se l’indice MSCI World dei paesi sviluppati è prevalentemente esposto al dollaro americano, l’esposizione valutaria dell’indice dei paesi emergenti è un po’ più diversificata, con in testa il dollaro di Hong Kong, il Won sudcoreano e il dollaro di Taiwan. Negli ultimi cinque anni, come illustrato nella tabella di seguito, rispetto all’euro si sono deprezzate soprattutto le currencies non asiatiche, come il rublo, il rand sudafricano e il real brasiliano, mentre un’altra serie di valute si sono rafforzate, impattando positivamente la performance di un investitore dell’Eurozona (Filippine, Corea del Sud e Hong Kong).
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