Piazza Affari è per investitori con i nervi saldi. Ha la volatilità di un paese dell’Europa emergente più che dell’Eurozona. Negli ultimi cinque anni, la deviazione standard, che indica quanto è ampia in un certo periodo la variazione dei rendimenti rispetto alla sua media, ha sfiorato il 20% (l’indice preso a riferimento è il Morningstar Italy, che copre il 98% della capitalizzazione totale). Hanno fatto peggio solo la Grecia, la Turchia, la Russia, l’Ungheria e la Polonia.
In media, la volatilità dell’intera Eurozona è stata del 14,31%, con la Francia e alcuni paesi nordici (ad esempio la Danimarca e l’Olanda) tra i più vicini a questi valori. Per trovare mercati meno volatili è necessario uscire dall’area della moneta unica e spostarsi in Svizzera o nel Regno Unito. Fuori dal Vecchio continente, il livello di rischio dell’indice italiano, sempre nel quinquennio e in euro, è simile a quello della Cina e del Perù e di poco superiore a quello del Sud Africa e della Thailandia.
Scarsi rendimenti
La maggior volatilità rispetto alla media dell’Eurozona non ha però significato un rendimento più alto. Dal 2011 al 2016 (31 agosto), la performance annualizzata dell’indice Morningstar Italy è stata del 5,12% contro il 10,49% dell’intera regione, ma migliore degli altri Pigs, acronimo con cui nel 2011 sono stati identificati i paesi più indebitati (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna).
Piazza Affari ha pagato più di altri mercati la forte concentrazione del listino sui titoli finanziari ed energetici, due settori che anche a livello mondiale sono stati nell’occhio del ciclone. Il debole quadro macro-economico, l’ammontare elevato di prestiti in sofferenza, l’esposizione al debito pubblico, oltre ai problemi di efficienza e redditività hanno pesato sul settore bancario, mentre quello petrolifero ha risentito del calo delle quotazioni di greggio e delle tensioni geopolitiche.
Il periodo buio
Dal punto massimo del quinquennio, toccato a maggio 2011, l’indice Morningstar Italy è arrivato a perdere il 36,5% (in termini tecnici si parla di Max drawdown), con un minimo a fine maggio 2012. Si è trattato di dodici mesi bui per la storia economico-finanziaria italiana, con gli operatori che fuggivano dalle asset class rischiose per i timori di un contagio della crisi greca, lo spettro di un periodo di instabilità politica e di recessione. Rispetto ad altri mercati, quello italiano è composto per quasi la metà da titoli ciclici, mentre quelli difensivi, che fanno da cuscinetto nelle fasi Orso, rappresentano circa il 23%, in gran parte utilities, un settore sensibile alle variazioni dei tassi di interesse. Farmaceutici e beni di consumo difensivi, tipicamente un rifugio per i gestori nelle fasi di incertezza, rappresentano invece poco più del 3% del totale.
La composizione dell'indice Morningstar Italy per settore
La svolta del 2008
E’ sempre stato così? L’analisi storica della volatilità (deviazione standard) dell’indice Morningstar Italy mostra che il 2008, anno del fallimento di Lehman Brothers, ha segnato l’impennata del rischio, senza che poi si sia mai ritornati ai livelli del 2004 (vedi grafico). Rispetto ad altri grandi paesi dell’Eurozona, come Francia e Germania, la volatilità si è mantenuta elevata anche nel 2013-14. A Piazza Affari, gli effetti della politica monetaria espansiva si sono fatti sentire dopo gli altri grandi paesi dell’Eurozona e sono durati poco. Come gli altri mercati, quello italiano ha risentito della delusione degli operatori per la mancata ripresa economica a fine 2014 e dei timori per le tensioni geopolitiche, che hanno riportato incertezza e instabilità negli ultimi anni. Inoltre, la crisi finanziaria ha portato a un aumento della correlazione tra i titoli, con conseguente incremento della volatilità, perché ha perso di efficacia l’effetto diversificazione. In pratica, le vendite sono state diffuse su tutti i titoli, indipendentemente dal settore e dai fondamentali.
Fondi, volatilità sotto controllo
Non tutta la volatilità dell’indice, tuttavia, è entrata nei fondi. La categoria Azionari Italia registra una deviazione standard media del 17,9% nel quinquennio, inferiore a quella del benchmark Morningstar. “I gestori di portafoglio hanno diverse frecce al proprio arco se vogliono cercare di ridurre la volatilità dei rendimenti”, spiega Francesco Paganelli, analista sui fondi di Morningstar. “Possono ad esempio aumentare la quota di liquidità, investire in titoli esteri con una bassa correlazione con il mercato italiano o ancora posizionare il portafoglio su titoli o settori più ‘solidi’ e meno sensibili all’andamento dell’economia”.
Volatilità e rischio
Nell’analisi di un fondo, la volatilità è solo una delle misure di rischio che l’investitore deve considerare. Nell’assegnare l’Analyst rating, il team di ricerca di Morningstar cerca di comprendere ad esempio cosa abbia generato un rischio superiore alla media, come si è comportato un fondo nelle diverse fasi di mercato e se il rapporto rischio/rendimento è competitivo. “L’obiettivo è quello di identificare i fondi che sovraperformeranno i concorrenti su base corretta per il rischio nell’arco di un ciclo di mercato completo”, spiega Paganelli.
Infine, l’investitore deve ricordare che volatilità non è sinonimo in senso stretto di rischio. Quest’ultimo si sostanzia in una perdita permanente del capitale investito. “La volatilità può essere vista come un’opportunità soprattutto per chi investe per il lungo termine”, dice Paganelli. “Tende infatti ad aumentare quando il mercato scende e le valutazioni sono relativamente più interessanti. Se quindi una maggiore volatilità richiede una certa dose di sangue freddo per via dell’ampiezza delle oscillazioni (che possono aumentare le probabilità di uscire da un investimento in perdita), per chi mantiene una prospettiva di lungo periodo può essere il momento in cui si trovano le migliori occasioni”.
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