I tassi di interesse negativi minano alla funzione di rifugio dei fondi monetari. Nel 2008, dopo lo scoppio della crisi dei mutui di bassa qualità americani (subprime), i flussi netti verso questi strumenti a breve termine (in tutte le valute) erano stati di oltre 158 miliardi di euro a livello europeo. Nel 2011, quando sono finiti sotto shock i debiti sovrani dei paesi europei e la Federal Reserve aveva già portato i saggi di riferimenti vicino allo zero (la Bce si è mossa dopo e con più lentezza), la raccolta netta era stata di gran lunga inferiore, 23,7 miliardi.
Popolarità in calo
Successivamente, la popolarità è stata piuttosto bassa, fino al 2015, quando hanno archiviato sottoscrizioni nette per 87,2 miliardi. Due potrebbero essere le ragioni: la volatilità dei mercati azionari ed obbligazionari e il generale andamento positivo dei flussi verso tutti i prodotti del risparmio gestito. Più recentemente, tuttavia, si è riproposta la questione relativa alla funzione di rifugio dei fondi di liquidità. Dopo il referendum inglese favorevole a Brexit, a giugno gli investitori sono usciti dai prodotti azionari, senza però prendere una chiara direzione. I monetari, dunque, hanno beneficiato solo in parte dell’aumento dell’avversione al rischio.
Tempo di alternativi?
C’è però un’altra tipologia di fondi che ha guadagnato popolarità negli anni della crisi finanziaria, ponendosi come obiettivo un rendimento svincolato da quello dei mercati e/o il maggior controllo della volatilità. Si tratta degli alternativi, il cui tasso di crescita organica tra il 2011 e il 2015 è stato del 147%. E’ presto, però, per dire se prenderanno il posto dei monetari come rifugio nei periodi turbolenti. Ad esempio, non hanno catalizzato più flussi di altri dopo il voto inglese nel giugno scorso; al contrario negli ultimi mesi sembra essersi affievolito l’interesse, dopo essere stata la miglior asset class per organic growth rate nel 2015.
Il ruolo degli istituzionali
Per comprendere le dinamiche dei fondi di liquidità, tuttavia, non bisogna solo guardare al comportamento degli investitori privati. Gli istituzionali, gestori di grandi patrimoni, sono un attore importante, come mostra l’analisi storica delle classi di prodotti riservate a questo segmento. Dopo il 2011, in particolare, hanno registrato flussi più elevati (in termini assoluti) delle classi retail in tutti gli anni con l’eccezione del 2015. In effetti, negli ultimi cinque anni, il tasso di crescita organica delle classi istituzionali è stata molto più alta di quelle retail, il 41% contro il 3%.
Per quale ragione gli istituzionali dovrebbero investire in fondi con rendimenti bassi o addirittura negativi? “Non potendo parcheggiare il cash in un conto di deposito, questo tipo di investitore utilizza i money market fund come strumento di liquidità quando decide di ridurre l’esposizione ai mercati – azionari e non - oppure come cuscinetto in attesa di trovare opportunità in Borsa”, spiega Francesco Paganelli, analista di Morningstar.
Euro o dollaro?
I fondi monetari possono essere utilizzati anche per la diversificazione valutaria; tuttavia il patrimonio gestito è allocato soprattutto in prodotti in euro (458,4 miliardi di euro). Seguono quelli in dollari con poco meno di 340 miliardi, che hanno registrato flussi netti superiori ai primi soprattutto negli anni della crisi del debito sovrano europeo.
Negli ultimi cinque anni, i monetari area euro hanno avuto una volatilità nei flussi superiore a quella dei fondi denominati in altre valute il che però è coerente con il fatto che non sono strumenti di investimento di lungo termine, ma di breve termine. E’ ragionevole pensare che abbiano pesato le scarse performance, in un contesto di tassi di interesse a zero o negativi per i titoli governativi a breve termine con più alto rating, come ad esempio il Bund tedesco. Come si può vedere nella tabella, dal 2011 sono stati la peggiore asset class in tre anni su cinque.
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