Tutti quanti la cercano, ma nessuno sa darle una definizione precisa. E’ la liquidità. Che si faccia riferimento a un mercato o a un asset è senza dubbio il principale requisito richiesto dagli investitori, in quanto garanzia di efficienza e di basso livello di rischio.
La definizione è piuttosto semplice: un titolo è liquido se è possibile scambiarlo, in qualsiasi momento e con bassi costi di transazione, in cambio di denaro. Dire con sicurezza, invece, se ci troviamo davanti a un asset molto liquido o poco liquido è cosa più difficile. Tale valutazione, infatti, dipende da una serie di fattori.
L’ampiezza del mercato
Più operatori comprano e vendono un determinato strumento finanziario, più sarà facile che le esigenze di domanda e offerta si incontrino. In caso contrario il venditore potrebbe avere difficoltà a liquidare il suo asset e quindi essere costretto ad accettare un prezzo di vendita più basso pur di liberarsene (costi di transazione). I listini regolamentati come il Mot (Mercato telematico delle obbligazioni), ad esempio, sono più liquidi del mercato over-the-counter (OTC), dove il numero di trader attivi è inferiore.
Le dimensioni dell’ordine
Alcuni strumenti possono essere molto liquidi per ordinativi di piccola entità mentre possono risultare illiquidi per ordini molto grandi (a causa del limitato volume di emissione o anche di fattori esogeni come ad esempio il rastrellamento di titoli di stato da parte della Banca centrale)
La sostituibilità dell’asset
Il fatto che il profilo di rischio/rendimento di un titolo sia analogo a quello di molti altri produce un allargamento del suo mercato potenziale. Questo significa che sarà molto più facile, per chi lo possiede, dismetterlo senza costi aggiuntivi.
L’orizzonte temporale dell’investitore
Se si investe in ottica di breve periodo si andrà probabilmente incontro all’urgenza di dover vendere e questo potrebbe aumentare il rischio di liquidità.
Accanto a queste variabili, ci sono altri elementi che impattano sulla liquidità del mercato. Alcuni riguardano il lato della domanda, come la capacità degli operatori di finanziare i loro investimenti o la regolamentazione sull’attività degli intermediari. Più facile è prendere a prestito denaro e rifinanziare i propri debiti, più ci saranno operatori attivi sul mercato e dunque maggiore sarà la liquidità dello stesso. Inoltre, più stringenti saranno le norme imposte alle banche e ad altri intermediari finanziari (market maker) sulla detenzione di alcuni titoli nei loro bilanci, più bassa sarà la domanda. Sul lato dell’offerta, invece, pesano alcune decisioni di politica monetaria da parte delle Banche centrali. Esse, infatti, quando cercano di fermare le speculazioni sui titoli di Stato rastrellano bond governativi in modo da mantenere sotto controllo il rendimento. Ne consegue che un intervento troppo forte da parte di queste istituzioni rischi di distorcere il mercato.
Anche gli interventi di politica monetaria possono condizionare i mercati. Un esempio è rappresentato dal mercato dei corporate bond Usa. Nell’ultimo periodo l’offerta di debito societario è cresciuta molto e gli investitori, in cerca di rendimenti più elevati, sono riusciti ad assorbirla. Ora, invece, con la Federal Reserve che si appresta ad aumentare i tassi di interesse, il rischio è che i risparmiatori si spostino verso titoli di Stato meno rischiosi e che grossi flussi in uscita da questo tipo di asset possano impattare sulla liquidità del mercato del debito societario.
Il premio al rischio liquidità
L’evidenza empirica dimostra come i problemi di liquidità si ripercuotano direttamente sui rendimenti dei titoli. La logica, infatti, è che il rischio di detenere un’attività poco liquida deve essere remunerato con un rendimento più elevato. Non stupisce, quindi, che le emissioni di piccole dimensioni (quindi meno liquide) presentino yield più elevati. Cosa analoga accade quando un’obbligazione si avvicina alla sua maturity date. Si osserva, infatti, che con il passare del tempo una quantità sempre maggiore di quella emissione è assorbita dal mercato e questo fa aumentare il premio al rischio di liquidità. Le dinamiche dei mercati obbligazionari dimostrano anche come il rendimento dei titoli sia negativamente correlato al numero degli operatori attivi nel trading. Più alta, infatti, è la competizione per aggiudicarsi lo stesso bond più basso sarà il rischio di liquidità scontato dal prezzo e quindi minore sarà il premio incorporato nel suo rendimento.
Come misurare il rischio di liquidità
Gli operatori usano diversi indicatori per misurare il grado di liquidità di un mercato: gli spread bid-ask, i volumi e il turnover.
Lo spread bid-ask, calcolato in valore assoluto o in percentuale (sulla media tra prezzo di vendita e di acquisto), rappresenta il compenso spettante al market maker per aver permesso la realizzazione della transazione. Più ampio è il numero di operatori sul mercato (quindi più è liquido) più semplice sarà per il market maker far incontrare le due parti. E dunque più basso sarà il suo profitto.
I volumi negoziati per una determinata unità di tempo sono un altro indicatore delle dimensioni del mercato. Se il numero di titoli trattati è molto elevato vuol dire che è possibile negoziare anche quantitativi importanti e questo è indicativo della liquidità del mercato.
Il turnover di un asset è il rapporto tra la quantità di titoli scambiati e in numero medio di shares outstanding in un determinato periodo di tempo (se per una determinata emissione obbligazionaria il volume di titoli scambiati in un anno è di un miliardo di euro e quello dei titoli mediamente disponibili è di 100 milioni, il turnover sarà di 10). Questa misura, sebbene sia difficilmente calcolabile per i mercati non regolamentati OTC, sopperisce ai limiti di comparabilità di misure assolute come lo spread ed è anche termometro della volatilità. Un basso valore del turnover, infatti, indica che sul mercato è presente un numero sufficientemente alto di quote tale da assorbire improvvise impennate delle offerte senza impattare in maniera significativa sul prezzo.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.