Economia circolare, il ruolo degli investitori

I rifiuti possono diventare risorse per un nuovo ciclo industriale. Oggi, invece, il 57% degli scarti è portato in discarica. Molte aziende vanno nella direzione di ridurre gli sprechi e lo possono fare anche i fondi.

Sara Silano 06/10/2016 | 09:29
Facebook Twitter LinkedIn

Oltre 160 mila veicoli a metano venduti da FCA in Europa tra il 2013 e il 2015, 30 milioni di scarpe vecchie riutilizzate nel ciclo produttivo da Nike e server rigenerati da Google (ora Alphabet) in nuovi data center. Sono tutti esempi di come l’economia circolare sia sempre più diffusa a livello mondiale.

Il concetto di base è far sì che tutte le attività produttive siano organizzate in modo che i rifiuti diventino risorse per i nuovi cicli industriali. Nel caso di FCA, ad esempio, i veicoli possono essere alimentati a biometano, che si ricava dalla purificazione del biogas prodotto da sostanze organiche quali i residui zootecnici, i sottoprodotti agroindustriali e i rifiuti urbani, e genera emissioni di CO2 simili a un’auto elettrica che usa energia da fonti rinnovabili.

L’economia che si rigenera
Secondo la definizione di Ellen McArthur Foundation, fondazione creata nel 2010 per favorire la transizione verso questo approccio produttivo, che annovera tra i Global partner anche la banca italiana Intesa Sanpaolo, l’economia circolare è “pensata per rigenerarsi da sola” e “mantenere l’utilità di prodotti, materiali e componenti”, ottimizzando il rendimento delle risorse e riducendo o eliminando le “esternalità negative”, come ad esempio l’inquinamento.

Il valore
Uno studio di Ellen McArthur Foundation, McKinsey e Sun (fondazione tedesca che promuove la sostenibilità nell’economia) rivela che, in Europa, l’economia circolare può generare 1,8 mila miliardi di euro entro il 2030, 900 miliardi in più rispetto all’attuale scenario di sviluppo basato su modelli tradizionali. Sono attesi effetti positivi anche sull’occupazione. Secondo alcune proiezioni, riportate in una nota di Candriam Investors, si potrebbero creare circa due milioni di posti di lavoro nel Vecchio continente entro il 2035.

La transizione verso il nuovo modello dovrebbe quindi riflettersi positivamente sul Pil (Prodotto interno lordo) e ridurre gli sprechi. Oggi, nell’Eurozona, il 57% degli scarti viene portato in discarica. L’Ue, però, preme per un cambio di rotta e ha fissato un obiettivo di riduzione di 500 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2035 grazie all'economia circolare, al riciclaggio del 65% dei rifiuti domestici e del 75% degli imballaggi.

Il ruolo degli investitori
“In questo contesto, l'intervento degli investitori rappresenta un potente volano”, sostiene Isabelle Cabie, responsabile investimenti SRI di Candriam Investors. “Sta a loro fare emergere criteri d'investimento basati sull'attuazione dell'economia circolare. I criteri individuati riguardano la politica aziendale: l'impresa ha previsto di migliorare il suo servizio di manutenzione? È specializzata nella seconda mano (come eBay)? Vende prodotti ri-confezionati (come Dell, HP o Philips) o frutto di riciclaggio (Umicor)? Questi criteri tengono in considerazione anche i processi interni. Ad esempio, l'impresa fa uso di materiali riciclati? Ottimizza il consumo di energia? Una parte del budget R&D (ricerca e sviluppo) è dedicata all'eco-progettazione? Gli scarti sono utilizzati per la realizzazione di nuovi prodotti?”.

I settori sono coinvolti in modo differente nella transizione verso la circolarità. Secondo ECPI, società di ricerca e consulenza nel settore ESG (Environmental, social and governance), le industrie interessate più da vicino sono quelle legate all’energia (fonti rinnovabili, biocarburanti, ecc.), al riutilizzo delle risorse (rifiuti, controllo dell’inquinamento), all’allungamento del ciclo di vita dei prodotti (ad esempio il tessile, l’auto e più in generale il manifatturiero), alla cosiddetta share economy (car sharing) e ai servizi informatici, come il cloud computing.

La sostenibilità dei fondi settoriali
Se guardiamo al portafoglio dei fondi dei settori che sono più interessati dalla transizione verso un’economia circolare, notiamo che il Morningstar Sustainability Score medio, calcolato tenendo conto sia dell’attenzione ai fattori ESG sia delle controversie, non differisce molto da comparto a comparto (vedi tabella). Tuttavia, se scendiamo nel dettaglio delle singole componenti, quella degli “incidenti” in cui un’azienda può essere coinvolta (il controversy score) presenta discrepanze notevoli tra le diverse categorie. Si va dalla più virtuosa industria delle energie alternative (7,93 in media) alle comunicazioni e ai petroliferi, che hanno punteggi elevati (rispettivamente 33,9 e 33,8).

Fondi settoriali e Morningstar Sustainability Rating

Per saperne di più sul Morningstar Sustainability Rating clicca qui.

Per conoscere i nuovi Morningstar Sustainability Index clicca qui.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

Facebook Twitter LinkedIn

Titoli citati nell'articolo

Nome TitoloPrezzoCambio (%)Morningstar Rating
Alphabet Inc Class A167,63 USD-4,74Rating
Intesa Sanpaolo3,67 EUR-0,78Rating
Nike Inc Class B75,10 USD2,37Rating
Stellantis NV12,17 EUR-0,31Rating

Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

© Copyright 2024 Morningstar, Inc. Tutti i diritti sono riservati.

Termini&Condizioni        Privacy        Cookie Settings        Disclosures