Nei giorni scorsi, è stato assegnato il Nobel per la Pace all’associazione Ican (International campaign to abolish nuclear weapons), per il suo impegno a favore del bando delle armi nucleari in tutto il mondo. Dal 2007, l’organizzazione norvegese ha promosso iniziative per far conoscere le devastanti conseguenze umanitarie sulla popolazione dell’uso di questi strumenti di distruzione di massa.
Grazie alla sua attività e alla sinergia tra diverse nazioni e parti della società civile, si è arrivati nel luglio scorso alla firma del Trattato internazionale di interdizione delle armi nucleari nell’ambito delle Nazioni Unite. In Italia, il 3 ottobre è stata approvata la legge che vieta il finanziamento ai produttori di bombe a grappolo e mine anti-persona, dopo un iter durato sette anni. Il tutto mentre nel mondo si sono riaccese le tensioni provocate dai lanci di testate nucleari da parte della Corea del nord e dalla contestazione dell’accordo con l’Iran da parte di Donald Trump.
Troppi investimenti
Nonostante questi sforzi, la strada da fare è ancora molta. Anche nel mondo degli investimenti. Secondo i dati Morningstar, pubblicati nel marzo scorso dal Financial Times, il 6% dei 100 mila fondi venduti a livello mondiale ha un’esposizione elevata alle cosiddette “armi controverse” (in inglese controversial weapons), quali quelle nucleari, chimiche, biologiche, bombe a grappolo e mine anti-uomo.
Dove fare attenzione
L’analisi Morningstar, basata sulle misure di Product involvement, permette di quantificare l’esposizione dei portafogli a questo settore. Il punto di partenza è la ricerca di Sustainalytics sulle singole società, all’interno delle quali vengono considerati sia il coinvolgimento diretto nella produzione di armi, componenti e servizi connessi, sia indiretto nella fornitura di strumenti funzionali a questa industria.
I fondi che hanno l’esposizione media più alta all’industria delle armi controverse sono quelli che investono in azioni americane, il che non deve stupire dato che gli Stati Uniti non hanno firmato alcuni dei trattati internazionali che vietano ad esempio l’uso di bombe a grappolo e mine anti-uomo. Tuttavia, uno studio della società di ricerca tedesca Oekom ha rivelato che ci sarebbero aziende anche tra i paesi che hanno aderito a tali accordi, tra cui la Germania, la Francia e il Regno Unito.
Chi esclude l’industria delle armi
Negli ultimi anni, la sensibilità delle case di gestione è aumentata e alcune hanno deciso di escludere queste aziende dal proprio portafoglio. Ad esempio, Bnp Paribas ha una gamma di prodotti passivi che replica gli indici Msci ex controversial weapons. Columbia Threadneedle, Axa Investment managers, Franklin Templeton e Robeco (solo per citarne alcuni) hanno policy per l’esclusione di questa industria. Tuttavia, siamo ancora lontani dal completo abbandono del finanziamento al settore, come dimostrano i dati Morningstar sul Product involvement. Società come Lockeed Martin, General Dynamics e Bae Systems che sono nella lista “nera” continuano ad essere nei portafogli di molti prodotti, attivi e passivi.
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