La normalizzazione delle politiche monetarie dei paesi sviluppati si avvicina. E chi ha puntato sui bond dei mercati emergenti (un asset che è sempre stato penalizzato dal rialzo dei tassi di interesse dei paesi sviluppati in generale e di quelli Usa in particolare), inzia a sudare freddo. Ma, stavolta, la storia potrebbe essere differente e la carta degli stati in via di sviluppo potrebbe rappresentare il posto dove andare per cercare rendimento.
Qualcosa è cambiato
Che il clima sui mercati fosse cambiato si è capito il 20 settembre dell’anno scorso quando la Federal Reserve ha annunciato il rallentamento del suo programma di stimolo all’economia. A ottobre la Bce ha avvertito che da gennaio di quest’anno avrebbe ridotto il suo acquisto di bond da 60 miliardi a 30 miliardi di euro. A novembre è stato il turno della Bank of England che ha rialzato i tassi di interesse per la prima volta in 10 anni (portandoli allo 0,25%) seguita poi dalla Fed a metà dicembre (1,25-1,50%, prevedendo altre strette per arrivare al 2,75% nel 2020).
Queste mosse delle Banche centrali sono arrivate in un periodo in cui le valutazioni dei bond dei paesi sviluppati erano molto alte e hanno fatto aumentare i rischi di perdite.
Meglio gli emergenti in local currency
Secondo gli analisti di Morningstar, il nuovo atteggiamento degli istituti di politica monetaria rischia di diventare un freno per gli investitori in bond. In un quadro del genere, aggiungono, le emissioni dei paesi emergenti possono rappresentare un’occasione da sfruttare. Soprattutto quelle in valuta locale, che offrono rendimenti interessanti in paesi dove le situazioni debitorie sono in netto miglioramento e che, sotto il profilo del rendimento in rapporto al rischio, si pongono come valida alternativa a molti stati sviluppati.
Nella categoria Morningstar dedicata ai fondi che investono sui bond dei paesi emergenti in local currency, l’unico prodotto con Analyst rating positivo è GAM Multibond Local Emerging Bond USD E (Bronze. Morningstar rating: 3 stelle). “I manager possono lavorare con una certa flessibilità”, spiega Niels Faassen, fund analyst di Morningstar in un report del 26 dicembre 2017. “I sovra e sotto-pesi di determinati paesi possono rappresentare il 10% degli asset e il team spesso entra in mercati che non sono presenti nel benchmark. Quando vogliono occuparsi dei titoli più pericolosi del mercato, come ad esempio i bond dell’Uruguay, i manager tendono a contenersi entro pochi punti percentuali. Preferiscono costruire le posizioni in portafoglio attraverso l’acquisto di bond in valuta locale, ma hanno anche la libertà di aumentare l’esposizione utilizzando i currency forward (particolari contratti di copertura che bloccano il valore di una divisa per un’acquisto o una vendita futura, Ndr). In passato questo strumento è arrivato a rappresentare il 20% del portafoglio. Il team di gestione condivide la reponsabilità delle analisi su tutti i paesi che fanno parte dell’universo investibile, ma l’ultima parola resta al lead manager, Paul McNamara. Il team usa un mix di analisi quantitative e qualitative (fra cui anche gli incontri con leader politici ed economici dei paesi che hanno nel mirino) per identificare i bond e le valute con il miglior potenziale di crescita in un arco temporale di 12 mesi. Considerazioni macroeconomiche, come ad esempio gli effetti delle politiche monetarie dei paesi sviluppati, giocano un ruolo sempre maggiore nella strategia”. (Analisi completa qui).
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