Le aziende italiane investono nel Vecchio continente. I dati relativi alle M&A concluse da parte delle società del Belpaese dal 2008 ad oggi* mostrano come oltre il 60% dei deal abbia riguardato società europee. Il secondo maggiore mercato di riferimento è quello statunitense (19%), mentre le aree emergenti di Asia, America latina e Medio Oriente rappresentano una percentuale di poco superiore al 10%.
La scarsa propensione a espandersi nei paesi in via di sviluppo attraverso delle acquisizioni è visibile anche dallo spaccato delle M&A finalizzate in Europa. Qui le economie ricche di Francia, Regno Unito, Germania, Olanda e Belgio raccolgono l’83% del totale, mentre poco più del 10% finisce nei paesi come Ucraina, Romania, Russia, Serbia, Polonia, Romania, Repubblica Ceca e Bulgaria.
Retail e apparel guidano gli acquisti del settore beni di consumo
L’analisi per settori economici mostra come negli ultimi 10 anni sia stato il comparto energetico a chiudere il maggior numero di operazioni, pari al 41% del totale, per l’acquisizione di compagnie Oil&Gas e di società attive nel segmento dei servizi. La più attiva è stata Eni, che tra il 2008 e il 2011 ha investito intorno ai 10 miliardi di euro, di cui cinque circa per aggiudicarsi Distrigas, società belga attiva nella distribuzione e vendita di gas. Erg ha speso un miliardo di euro per la tedesca E.ON Produzione (spin off di E.ON nel segmento dell’energia idroelettrica), mentre Enel si è limitata a piccole operazioni come l’utility del gas spagnola, Corporación Llorente.
Molto attivi sono stati anche i settori beni di consumo e finanza che complessivamente hanno speso il 30% circa del capitale totale. Il primo ha beneficiato del forte contributo delle aziende dei settori retail e apparel come OVS (in Svizzera), CSP International Fashion Group (in Germania), Luxottica (in Spagna), Tod’s (in Francia), e Brunello Cucinelli (in Russia), anche se l’M&A più importante l’ha conclusa Lavazza con l’investimento in Bristol House. Nel secondo, invece, si sono conclusi solo 9 deal in dieci anni, ma che hanno visto coinvolti alcuni dei maggiori player nel segmento bancario e assicurativo come Intesa Sanpaolo, UnipolSai (in quegli anni Fondiaria-Sai) e Assicurazioni Generali, che hanno investito per allargare la loro presenza nei Paesi dell’est Europa come Serbia, Ucraina e Romania.
Figura 1: Breakdown per regione e settore del capitale italiano investito all’estero (dal 2008 a oggi)
Fonte dati: PitchBook
Cos’è cambiato negli ultimi cinque anni?
Dividendo il periodo dal 2008 ad oggi in due intervalli da cinque anni vediamo come nel tempo ci siano stati dei cambiamenti. Il primo e più evidente riguarda l’ammontare del capitale investito in M&A. Dopo due anni di grandi spese, nel 2008 e nel 2009, in cui le aziende italiane hanno impiegato oltre sei miliardi di euro, beneficiando del prezzo vantaggioso determinato dal calo dei mercati internazionali, gli investimenti sono bruscamente scesi nei successi tre esercizi.Dai minimi del 2014, però, il capitale è salito progressivamente passando da 1,6 miliardi a quasi 5,4 miliardi nel 2017.
Anche a livello geografico le cose sono cambiate: rispetto agli anni 2008-2012, in cui i tre quarti dell’intero investimento in M&A è ricaduto all’interno dei confini europei, nei successivi cinque anni il peso del Vecchio continente si è ridotto in maniera significativa, pur rimanendo prevalente (51,4%), a vantaggio degli Stati Uniti (la cui percentuale è salita dal 14% al 26%) e dell’Asia (da 0,27% al 13%). Guardando nel dettaglio, all’interno di ogni singola regione, si nota come gli investimenti nei paesi dell’Europa dell’est (Russia, Serbia, Romania), siano stati sostituiti da quelli in mercati più lontani come Hong Kong (11%) e India (1,22%).
Figura 2: Breakdown per regione e paese del capitale italiano investito all’estero (dal 2008 al 2012)
Fonte dati: PitchBook
Figura 3: Breakdown per regione e paese del capitale italiano investito all’estero (dal 2013 a oggi)
Fonte dati: PitchBook
Energetici e bancari chiudono i rubinetti
Analizzando al breakdown per settore si nota come ci sia stato un significativo alleggerimento del peso dei comparti energia e finanza a vantaggio di quelli beni di consumo e prodotti e servizi per le imprese. Le differenze tra i due periodi non è spiegata dal numero di deal realizzati, bensì dall’ammontare di capitale investito: le M&A tra gli energetici e i finanziari sono addirittura aumentati tra il 2013 e il 2017, ma è tra il 2008 e il 2012 che Eni ha concluso i maggiori accordi con Distrigas, Bureen Energy e First Calgary Petroleums per un esborso complessivo di oltre 10 miliardi di euro e che Intesa Sampaolo, UnipolSai e Assicurazioni Generali hanno concentrato la loro spesa sui mercati dell’Europa dell’est.
Discorso diverso vale per le industrie attive nella produzione di beni e servizi per le imprese, il cui peso è salito in seguito al numero di deal che tra il 2013 e il 2017 è quasi raddoppiato grazie alla maggior intraprendenza di società come Prysmian e Interpump che hanno chiuso rispettivamente cinque e quattro acquisizioni.
*Fonte dati PitchBook, società americana del gruppo Morningstar fornitore di dati e ricerche relative al mercato del private equity, venture capital e M&A.
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