Le aziende italiane sono pronte alla transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2? La risposta è no (nella maggior parte dei casi). Secondo l’ultimo Sustainability Atlas, la mappa globale sui comportamenti sostenibili delle imprese, elaborata da Morningstar, il Carbon risk dei titoli contenuti nell’indice Morningstar Italy (che copre il 97% della capitalizzazione totale) è in media di 16,98 punti, il che colloca il paniere nel penultimo quintile.
Un’impresa può essere soggetta a diversi rischi legati all’inquinamento. Ad esempio, il cambiamento climatico può danneggiare gli asset fisici o richiedere una revisione del modello di business; le nuove normative sui gas serra impongono una riduzione delle emissioni di CO2; le riserve di fonti fossili possono perdere di valore ed essere chiuse anticipatamente, il proprio brand può perdere popolarità se non risponde alla domanda crescente dei consumatori di prodotti più rispettosi dell’ambiente. Alcuni settori, come l’energetico, le utilities, i materiali di base e l’industriale, sono più esposti a tali pericoli. Altri, incluso il farmaceutico e il tecnologico, lo sono di meno.
Chi gestisce meglio il Carbon risk
“I mercati dell’Europa occidentale come Paesi Bassi, Francia e Svizzera presentano un basso carbon risk”, spiega Dan Lefkovitz, autore del report di Morningstar. “Lo stesso si può dire di Giappone, Corea, Taiwan e Hong Kong”. Ma la vera sorpresa sono gli Stati Uniti: il secondo più grande emittente di gas serra al mondo dopo la Cina (dati dell’Agenzia internazionale per l’energia), ha una minima parte di titoli quotati a Wall Street che sono esposti seriamente alla transizione verso l’economia low carbon. “La spiegazione va ricercata nel peso del comparto farmaceutico e tecnologico sulla capitalizzazione totale, che è di oltre un terzo, cui si contrappone un’esposizione di ‘appena’ il 6% all’energia”, ammette lo strategist di Morningstar.
I mercati che rischiano di più
Il mercato a più alto rischio, da questo punto di vista, è quello russo, esposto ai titoli petroliferi per il 60%, seguito dai listini polacchi, canadesi e cileni, all’interno dei quali i materiali di base hanno un ruolo rilevante. L’Australia, invece, sta facendo un buon lavoro nella gestione dei rischi climatici, nonostante presenti un elevato Carbon intensity (misura delle emissioni di gas serra per milioni di dollari di ricavi). Tra le economie più dipendenti da fonti fossili, quindi con i panieri azionari più “inquinati”, ci sono quelle della Repubblica Ceca (la peggiore in assoluto), della Russia e del Canada. Il Carbon intensity di Piazza Affari è pari a 303,97 punti, un livello intermedio nella mappa globale.
Scelte politiche e d’impresa
Come leggere questi dati dal punto di vista degli investitori? Innanzitutto, una visione completa dei rischi climatici per le imprese e per i fondi che le mettono in portafoglio necessita l’analisi di due variabili: il Carbon risk e il Carbon intensity. Il primo consente di misurare i pericoli per le aziende che non sapranno gestire la transizione verso un’economia più pulita; il secondo è un indicatore dell’esposizione dei listini alle fonti fossili e alla produzione di emissioni inquinanti. Entrambi sono importanti come testimonia il caso statunitense.
“L’America non è certo nota per essere leader nella lotta al cambiamento climatico”, afferma Lefkovitz. “Inoltre, il presidente, Donald Trump, ha annunciato nel 2017 di voler uscire dall’Accordo di Parigi del 2015 (COP21, Ndr). Ma se valutiamo il profilo delle aziende, notiamo che una piccola parte del mercato è esposto ai rischi della transizione verso un’economia low carbon”. A confronto, l’Italia è in una situazione peggiore: sicuramente ha molta strada da fare per diminuire il Carbon intensity, ma ancora di più deve lavorare in prospettiva futura per gestire i mutamenti in atto, che saranno accelerati dagli sviluppi della normativa europea sul fronte ambientale.
L'articolo è stato pubblicato per la prima volta su Focus Risparmio il 9 ottobre 2018.
Il tema del cambiamento climatico e del carbon risk sarà trattato durante la Morningstar Investment Conference, l’8 novembre all’Unicredit Pavillion di Milano.
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