Se escludiamo i monetari o gli obbligazionari a brevissimo termine, i fondi comuni sono strumenti di lungo termine, nel senso che non sono “mordi e fuggi”. Vanno, dunque, utilizzati per raggiungere obiettivi finanziari in una determinata data futura e investono in azioni, bond o altre classi di attività che su orizzonti corti possono subire oscillazioni anche significative.
I Pir
Negli ultimi anni, il concetto di lungo termine è stato associato a particolari tipologie di fondi pensati per sostenere la crescita economica reale attraverso fonti di finanziamento diverse dal canale bancario. In Italia, l’hanno scorso sono stati lanciati i Pir (Piani individuali di risparmio), introdotti con la legge n. 232 dell’11 dicembre 2016, la cosiddetta legge di bilancio 2017. Si tratta di “contenitori fiscali” (fondi, gestioni patrimoniali, contratti di assicurazione o depositi titoli) che possono avere in portafoglio azioni, obbligazioni, quote di fondi, ecc., e danno diritto a delle agevolazioni tributarie se vengono rispettati determinati vincoli patrimoniali e temporali.
E’ previsto che almeno il 70% degli asset sia investito in strumenti emessi da imprese residenti in Italia, o nell’Unione europea o aderenti all’Accordo dello Spazio economico europeo (Asee) e con stabile organizzazione nel nostro paese. Di questo 70%, almeno il 30% deve essere allocato in titoli diversi da quelli del paniere dell’indice Ftse Mib, composto prevalentemente da blue chip. Con riferimento al vincolo di detenzione, i Pir devono essere tenuti per almeno cinque anni, pena il decadimento del beneficio fiscale.
Gli Eltif
Secondo quanto ha anticipato nelle settimane scorse l’inserto Plus24 del Sole 24 Ore, starebbero per arrivare nel Belpaese altri strumenti simili, gli European long term investment fund (Eltif), ossia i fondi europei di investimento a lungo termine. La normativa europea di riferimento è il Regolamento (UE) 2015/760. A livello nazionale, il 15 dicembre del 2017, è stato emanato il decreto legislativo n. 233 che ha apportato le necessarie modifiche al Testo unico della finanza (Tuf) per adeguarlo alla disciplina comunitaria.
Gli Eltif sono fondi comuni di investimento alternativi e armonizzati, che hanno forma chiusa, il cui capitale deve essere investito per almeno il 70% in attività illiquide che richiedono impegni e hanno un profilo economico di lungo periodo (imprese non quotate o quotate ma con una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro) e contribuiscono alla crescita dell’economia reale europea (ad esempio, il settore delle infrastrutture, i trasporti, la ricerca e lo sviluppo, ecc).
A differenza dei fondi alternativi classici (hedge fund), gli Eltif possono essere venduti agli investitori privati, ma nel rispetto di determinati vincoli posti a tutela di questi ultimi, che si aggiungono agli obblighi già previsti da altre normative (come Mifid II). L’intento è quello di evitare che finiscano nelle mani di risparmiatori per i quali non sono adatti e senza un’adeguata consulenza. Mentre per i Pir sono previste agevolazioni fiscali, per questa tipologia di strumenti, al momento, non ce ne sono.
Orizzonte temporale e diversificazione
I prodotti di ultima generazione hanno una chiara connotazione di strumenti di lungo termine per le finalità che si propongono (finanziare l’economia reale) e per il tipo di asset class che mettono in portafoglio (piccole e medie imprese, titoli illiquidi, ecc.). Tuttavia, non dobbiamo pensare che la mancanza di vincoli, quali gli incentivi fiscali in caso di detenzione per almeno cinque anni o la struttura chiusa dell’Eltif, rendano i fondi comuni tradizionali (azionari, obbligazionari o bilanciati) strumenti con un orizzonte temporale breve. Al contrario, tutti gli strumenti vanno valutati dal punto di vista della capacità di rispondere alle proprie esigenze individuali e di rispettare i benefici della diversificazione. Avere in portafoglio soli titoli domestici (azionari o obbligazionari che siano) espone al rischio Italia in maniera significativamente superiore a un paniere che comprenda anche emissioni europee o globali. Il pericolo, poi, aumenta se ci si focalizza su un solo segmento (ad esempio le small cap) o sui titoli meno liquidi.
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