Dal 1992 ad oggi, i cambiamenti normativi sulle pensioni degli italiani si potrebbero leggere con lo spostamento in avanti dell’età. Con la riforma Amato di quell’anno, era stata innalzata a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne; con quella successiva di Dini nel 1995 si è passati dal metodo retributivo a quello contributivo. Nel 2004, quando Ministro del lavoro e delle politiche sociali era Roberto Maroni, l’età minima per accedere alla pensione di anzianità venne spostata da 57 a 60 anni a partire dal 2008 (a 61 dal 2010 e a 62 dal 2014). Il meccanismo fu poi rivisto dal governo Prodi nel 2008, che stabilì parametri diversi (ad esempio, 59 anni per il 2009 e 2010, 60 per il 2011 e 2012, ecc.).
Dalla Fornero a Quota 100
Arriviamo ai tempi più recenti. Nel 2011, la riforma Fornero, che faceva parte del cosiddetto decreto Salva Italia, stabilisce l’innalzamento a 66 anni per gli uomini e per le donne del pubblico impiego (per quelle del settore privato e autonome l’incremento è più graduale nel tempo). Cinque anni dopo, il governo Renzi introduce la flessibilità in uscita e l’anticipo pensionistico (Ape). Infine, l’ultima proposta è di queste settimane ed è contenuta nella legge di bilancio 2019. Si tratta di “Quota 100” e, così come è stata presentata dai partiti di maggioranza (Lega e Movimento 5 stelle), sposta indietro la soglia minima a 62 anni (con 38 di contributi).
Il costo dell’incertezza
Il susseguirsi delle riforme ha un costo molto salato per i lavoratori: l’incertezza sull’età in cui potranno andare in pensione. In uno studio dal titolo The retirement mirage, David Blanchett, che in Morningstar è capo della ricerca previdenziale, ha analizzato l’impatto di questa mancanza di sicurezza sulla probabilità che una persona abbia il necessario per vivere dignitosamente quando sarà anziana.
L’età, infatti, è una variabile fondamentale nel calcolare quanto risparmiare per la pensione e la possibilità che la data effettiva differisca da quella stimata può avere conseguenze gravi. Un sondaggio di Gallup sulla popolazione americana, ad esempio, rivela che, in media, le persone si ritirano quattro anni prima del previsto. In questo modo, la probabilità di successo nel raggiungere i loro obiettivi previdenziali scende da oltre il 90 al 65%, secondo lo studio di Morningstar.
Il “quanto” domina sul “quando”
Il sistema statunitense è molto diverso da quello italiano; tuttavia l’incertezza dell’età della pensione li accomuna (anche se le cause che la generano sono differenti). Oltre vent’anni di riforme nel Belpaese, ci hanno insegnato che difficilmente avremo più sicurezze in futuro. Essendo, dunque, una variabile che non possiamo controllare, dobbiamo concentrarci su quelle che lo sono se vogliamo aumentare le probabilità di un’esistenza dignitosa quando saremo anziani.
Il suggerimento di Blanchett è quello di prestare più attenzione a “quanto risparmiare” rispetto a “quando andare in pensione”. Una buona pianificazione finanziaria può partire di qui.
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