L’addio del Regno Unito all’Ue interessa davvero ai mercati? Mentre gli osservatori politici studiano quello che sta succedendo in Parlamento a Londra, gli operatori fanno i calcoli sull’opportunità o meno di tenere in portafoglio asset quotati alla City.
Le ultime indicazioni arrivate dal fronte politico dicono che il premier conservatore Theresa May starebbe abbandonando la ricerca di un’intesa fra tutti i partiti a favore di un tentativo di riaprire le negoziazioni con l'Unione europea. In Parlamento è difficile tenere il conto del numero di emendamenti che circolano: c’è chi vuole evitare un no deal Brexit, chi vuole richiedere l'estensione dell'articolo 50 (la sezione del Trattato di Lisbona che concede due anni di tempo per lasciare l’Ue dopo la richiesta ufficiale, ma che permette anche delle dilazioni) e quelli che si ripromettono di approvare solo alcune parti di una proposta di accordo. Si parla anche di un emendamento per chiedere un nuovo referendum (ipotesi che, al momento, sembra non dispiacere ai laburisti). Resta da capire se a Westminster ci sia una maggioranza per apporvare una richiesta del genere. Fino al 29 gennaio, giornata in cui andrà al voto il piano definitivo, non è escluso che ci siano nuovi sviluppi.
Visto dagli investitori
Gli operatori, intanto, fanno altre considerazioni. “Brexit è difficile da analizzare a causa dei deboli legami che ha con i fondamentali delle società”, dice Dan Kemp, responsabile degli investimenti di Morningstar Investment Management EMEA. “E quando gli investitori si allontanano da questo tipo di ragionamento, corrono il pericolo di avventurarsi nella speculazione. La prima cosa da fare, ragionando dal punto di vista dei fondamentali, è rendersi conto che l’economia UK non è il suo mercato azionario. Per questo non abbiamo bisogno di prevedere l’andamento della congiuntura per capire dove andrà l’equity. Il Regno Unito in questo momento non piace troppo al mercato, è ragionevolmente a sconto e fondamentalmente in salute”.
Un’analisi effettuata utilizzando il nuovo Morningstar Revenue tool (uno strumento che analizza le società non in base al loro domicilio, ma a seconda di dove realizzano effettivamente gli utili) mostra come solo il 27% dei guadagni delle aziende quotate al listino FTSE All Share provenga dal mercato domestico. “Insomma, l’azionario del Regno Unito ha uno dei minori sbilanciamenti verso l’economia interna rispetto ad altri paesi sviluppati”, spiega Tom Whitelaw, Director della ricerca Morningstar. “Questo grazie al gran numero di società con attività a livello globale che risiedono nel Regno Unito”.
Meglio guardare le valutazioni
Visto che il quadro politico è difficile da interpretare, Kemp suggerisce di metterlo da parte e concentrarsi sulle valutazioni. Ricordando anche che fare investimenti non è mettere il focus su quello che succede nel giro di pochi giorni, ma su quello che accadrà (o potrebbe accadere) nei prossimi anni o decenni. L’indice Morningstar UK nel 2018 ha perso (in sterline) il 9,3%. Da inizio gennaio ha segnato +4,3%, mentre dal 23 gennaio 2016 (giorno del referendum pro o contro Brexit) ha guadagnato il 10,5% circa.
Indice Morningstar UK
Dati in sterline aggiornati al 21 gennaio 2019
Fonte: Morningtar Direct
“La volatilità potrebbe fornire delle occasioni per posizionarsi su asset di qualità a buon prezzo”, dice Kemp. “Gli asset UK sembrano essere sottovalutati, soprattutto in confronto a quelli di altri paesi sviluppati. Le azioni del Regno Unito hanno uno sconto che va dal 30 al 45%, a seconda delle metriche di valutazione, rispetto all’azionario Usa. La qualità delle azioni del Regno Unito, tra l’altro, è famosa per durare nel tempo”.
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