Cominciamo dalla definizione di rischio in relazione a un portafoglio. Possiamo dire che è tutto ciò che minaccia la nostra capacità di raggiungere gli obiettivi finanziari. Esistono due grandi tipologie di rischi: sistematici e idiosincratici.
Il rischio di mercato
Il rischio sistematico è quello che riguarda l’intero mercato (anche detto market risk), non il singolo titolo o settore. E’ imprevedibile e difficile da evitare ed è il più grande per un investitore. Per comprenderlo, bisogna guardare a due variabili economiche - la crescita e l’inflazione – che spiegano i rendimenti di lungo termine delle attività finanziarie. Un incremento del Prodotto interno lordo (Pil), aumenta i flussi di cassa delle imprese (cash flow), quindi gli investitori azionari avranno la possibilità di essere ricompensati per il rischio assunto. Un contesto di bassa inflazione può favorire i risparmiatori (sempre che non sia eccessivamente bassa); mentre un costo della vita rampante li danneggia, perché riduce il valore reale degli investimenti.
Il rischio di mercato non si può evitare, ma è possibile gestirlo. “Il primo modo per farlo è l’asset allocation”, spiega Ben Johnson, direttore della ricerca globale sugli Exchange traded fund di Morningstar. “Cambiare il mix di azioni, obbligazioni e liquidità, è il modo più facile per posizionarsi sul livello di rischio che si vuole assumere”. Ad esempio, un investitore coraggioso, potrà orientarsi più sull’equity rispetto ai bond.
Tolleranza al rischio
Ciascun investitore ha una propria tolleranza al rischio, ossia una determinata capacità emotiva nell’assumerlo e nell’affrontare situazioni di incertezza. Può variare nel tempo e dipende dalle proprie inclinazioni individuali, la personalità, la cultura finanziaria, la fase del mercato, ecc.
La direttiva comunitaria Mifid II, prevede che oltre alla tolleranza al rischio del risparmiatore, l’intermediario valuti in modo distinto la capacità di sostenere perdite, al fine di fornire raccomandazioni adeguate. Questo avviene attraverso il questionario di profilazione dei clienti.
Rischio idiosincratico
Il rischio idiosincratico è, invece, riferito al singolo titolo e non dipende dai movimenti del mercato nel suo complesso. Può derivare da una molteplicità di fattori, come la capacità di un’azienda di raggiungere gli obiettivi di vendita oppure di tornare a fare profitti. Nessuno ha la sfera di cristallo, per cui le previsioni possono essere smentite senza alcuna garanzia che siano rispettate. Per questa ragione, è un pericolo più elevato di quello di mercato, che, però, può originare profitti più alti.
“Il modo migliore per gestire il rischio idiosincratico è la diversificazione”, dice Johnson. “Passando da un portafoglio con un solo titolo a uno con 20-30 si allontana circa il 90% di tale rischio da un paniere azionario, che, di conseguenza, rimarrà quasi del tutto esposto al solo rischio di mercato. Avere un insieme di fondi, poi, dovrebbe permettere all’investitore di rendere residuale il pericolo legato a una sola emissione”.
Conoscere per gestire
Conoscere il rischio, è il primo passo per gestirlo. In Italia, tuttavia, i risparmiatori hanno poca confidenza con esso. Secondo il Rapporto 2018 della Consob sulle scelte finanziarie delle famiglie italiane, posti di fronte alla domanda di ordinare per livello di rischio alcuni strumenti (azionari, fondi azionari, derivati, obbligazioni non finanziarie) in funzione del livello di rischio, solo il 10% degli intervistati è stato in grado di farlo correttamente.
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