Le azioni small cap saranno anche un investimento rischioso rispetto ai titoli delle grandi società, ma nel lungo termine sono in grado di dare soddisfazione agli investitori. Soprattutto a quelli che sanno mantenere i nervi saldi e che sono in grado di maneggiarle con cura. La categoria Morningstar dedicata ai fondi specializzati sulle small cap europee, ad esempio, in 10 anni ha segnato +12,5% (annualizzati, in euro). Risultato che lascia al palo quasi tutti gli altri segmenti dedicati alle diverse capitalizzazioni e che la porta in linea con le Large cap growth.
Nelle tabelle in basso abbiamo messo a confronto alcune categorie Morningstar che suddividono le capitalizzazioni e, per ognuna, abbiamo elencato i fondi small cap con Analyst rating (per tutte la fonte è Morningstar Direct). Le prime tabelle sono quelle dedicate al Vecchio continente.
Un discorso analogo a quello europeo si può fare se si guarda all’andamento (in dollari) delle categorie Usa.
Ma il trend non cambia se si allarga l’orizzonte a livello globale (in euro).
Effetto small cap
La capacità di correre delle azioni a piccola capitalizzazione (conosciuto come small cap effect) è stato studiato per la prima volta nel 1981 dal Rolf Banz, considerato uno dei massimi esperti di piccole e medie aziende, che ha dimostrato come questo tipo di titoli tendano, in media (e aggiustando la performance per il rischio) a fare meglio delle large cap. Questo ha senso, considerato che di solito sono un investimento più rischioso, rispetto alle grandi e, di conseguenza, possono dare un miglior rendimento. Ci sono poi altre ragioni che rendono meno efficiente questo segmento rispetto ad altri creando delle sacche di opportunità. Una è il fatto che, nella maggior parte dei casi, si tratta di aziende che non sono molto seguite dagli analisti. E’ normale quindi che i migliori rendimenti siano intascati da chi fa un po’ di lavoro in più.
Esistono diversi motivi che possono spiegare l’andamento delle piccole e medie imprese. Ad esempio, nella maggior parte dei casi si tratta di aziende che lavorano sui mercati domestici o, al massimo, regionali. In questo modo non sono soggette ai capricci dell’economia mondiale, ma possono approfittare del buon andamento delle aree di riferimento. Spesso, poi, si tratta di società poco indebitate: molte, soprattutto in Europa, sono guidate a livello familiare, con obiettivi di lungo periodo, una gestione dei bilanci prudente e interessi allineati a quelli degli investitori. Anche le performance simili ai growth stupiscono solo in parte. “Il maggior peso dei titoli tecnologici ha sicuramente dato un contributo importante in questi ultimi anni”, spiega Samuel Meakin, Fund analyst di Morningstar.
Ci sono però alcune precisazioni da fare. “L’andamento delle small cap non è regolare nel corso dell’anno”, spiega Alex Bryan, analista di Morningstar. “La maggior parte del premio che questo tipo di asset offre è concentrato, ad esempio, nel mese di gennaio. Di solito si notano le vendite sui titoli che hanno perso di più a dicembre. Il mese seguente, quando la selling pressure diminuisce, le small cap – e in particolare quelle più liquide - hanno i maggiori guadagni”. C’è poi la questione delle valutazioni. “Se il mercato decide di concentrarsi sulle large cap, allora può mettere da parte le piccole. Anche se sono di buona qualità”, dice l’analista. In questo senso va detto che il proliferare dei fondi dedicati alle small cap ha reso questo tipo di azioni più liquide che in passato.
Conviene investire in questo tipo di asset?
“Un portafoglio di sole small cap, a causa dell’andamento incostante di questo tipo di titoli non dà le stesse sicurezze di uno dedicato alle large cap”, risponde Bryan. “Tuttavia offre benefici in termini di diversificazione, soprattutto su un orizzonte geografico internazionale. A loro favore gioca la decorrelazione che possono avere i diversi mercati regionali. Il segmento delle piccole aziende, inoltre, permette di avere accesso al premio che offrono le micro cap”.
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