I prodotti d’investimento a basso costo, Exchange traded product (ETP) e fondi indicizzati non quotati, continuano a guadagnare fette di mercato. Certo, l’industria europea dei fondi (monetari esclusi) è ancora ampiamente dominata dai comparti gestiti attivamente con l’82% degli asset totali, ma la crescita della parte passiva negli ultimi anni è sotto gli occhi di tutti, negli Usa (dove ormai sfiorano il 40% degli asset) come in Europa.
Secondo i dati di Morningstar, nel corso dell’ultimo anno i fondi europei gestiti attivamente hanno segnato solo quattro mesi di raccolta netta positiva, mentre per trovare l’ultimo mese di deflussi netti dai prodotti indicizzati bisogna tornare indietro nel tempo fino al settembre 2014.
Gli index fund europei (ETF inclusi) esprimono un tasso di crescita organica a un anno dell’8%, contro il -1,2% dei fondi attivi (il tasso di crescita organica esprime i flussi in rapporto agli asset all’inizio del periodo preso in considerazione; dati a fine luglio 2019).
Raccolta netta mensile dei fondi europei (attivi vs. Passivi, ETF inclusi)
Dati in euro al 31 luglio 2019 (fondi domiciliati in Europa, monetari esclusi).
Fonte: Morningstar Direct.
Tasso di crescita organica mensile dei fondi europei (attivi vs. Passivi, ETF inclusi)
Dati in euro al 31 luglio 2019 (fondi domiciliati in Europa, monetari esclusi).
Fonte: Morningstar Direct.
Scendendo un po’ più nel dettaglio, vediamo come a fine luglio contiamo 3.289 prodotti indicizzati domiciliati in Europa (di cui 2.305 sono ETP), i quali hanno raccolto oltre 115 miliardi di euro nel periodo tra agosto 2018 e luglio 2019. Notiamo anche che, all’interno dell’universo della gestione passiva, gli ETP abbiano raccolto di più rispetto ai replicanti non quotati, anche se quest’ultimi rappresentano un patrimonio gestito leggermente più importante.
Insomma, l’infatuazione degli investitori per gli ETF sembra continuare. Una tendenza che si riflette anche nel numero di prodotti disponibili e nei nuovi lanci. Gli asset gestiti dagli ETF sono in procinto di superare quelli dei fondi indicizzati tradizionali, segno che gli operatori apprezzano la flessibilità e la gamma di scelta offerta da tali strumenti. Con l’avvento di MiFID II, poi, ci si può aspettare che questo trend in Europa continui anche in futuro.
Gestori azionari in seria difficoltà
A livello di asset class, impressiona il gap tra la raccolta dei fondi passivi azionari e quella dei propri concorrenti attivi, nonostante quest’ultimi siano molto più numerosi (9.014 contro 1.779 a fine luglio). Sembra ormai chiaro che la comprovata difficoltà dei gestori azionari a battere il proprio benchmark sul lungo periodo e i costi di gestione particolarmente bassi ne fanno un’opzione convincente per un numero sempre maggiore di investitori.
Dando ancora uno sguardo al di là dell’Atlantico, negli Stati Uniti è notizia proprio di questi giorni che i prodotti indicizzati che replicano in mercato azionario americano abbiano per la prima volta nella storia superato i propri concorrenti attivi in termini di masse gestite.
Simili ma non uguali
Il successo della gestione passiva non deve però farci dimenticare che i replicanti quotati (gli ETF) e i fondi indicizzati tradizionali non sono la stessa cosa. Lo scopo è comune (replicare la performance di un indice), ma con caratteristiche differenti. La distinzione sta nel fatto che il primo è un fondo quotato sul mercato e scambiato in tempo reale come un titolo azionario, mentre il secondo non è sul listino e le quote possono essere comprate o vendute quando si conosce il Nav a fine seduta.
Questo ha delle importanti conseguenze soprattutto per quanto riguarda i costi. In media, gli ETF presentano delle commissioni più basse rispetto ai fondi indicizzati, ma i replicanti hanno a che fare con una serie di spese legate proprio alla loro quotazione sul mercato, soprattutto in termini di costi di transazione, ad esempio a seguito del turnover dell’indice replicato, e dallo spread denaro-lettera del fondo quotato, che a sua volta dipende dalla liquidità del sottostante.
Non bisogna dimenticare infatti che gli ETF sono un’evoluzione dei fondi passivi, nati una ventina d’anni prima, ma che rispondono a un bisogno diverso. Mentre i primi comparti indicizzati nacquero come conseguenza ad alcuni studi che dimostravano che la maggior parte dei gestori di fondi non riuscivano a far meglio del mercato sul lungo periodo, gli ETF furono la risposta all’esigenza di molti investitori istituzionali di scambiare grosse quantità di azioni intra-day, soprattutto in momenti di forte volatilità.
Di seguito un confronto tra i dieci ETF e i dieci fondi aperti passivi che hanno raccolto di più nell’ultimo anno.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.