Sono ormai due anni che l’oro batte ogni suo precedente record. L’ultimo in ordine di tempo è stato toccato la settimana scorsa, 1.920 dollari l’oncia, quando solo qualche mese fa ci si chiedeva se potesse superare i 1.500. Insomma, il metallo giallo è stato forse l’unico asset che ha regalato rendimenti molto positivi in questi tempi turbolenti. Ora, però, ci si inizia a chiedere se non ci sia un pericolo bolla, per un bene inseguito da così tanti investitori (sia istituzionali che retail).
A prescindere da ciò, gli investitori sanno che ci sono due diverse strade per poter dedicare una parte del proprio portafoglio ai movimenti dell’oro: acquistare un Exchange traded commodity dedicato all’oro (che può replicarer sia il prezzo del bene fisico che i contratti future su di esso) oppure acquistare quote di un fondo comune dedicato alle società che estraggono oro, che lo lavorano e lo vendono.
Quale strada è la migliore? “Probabilmente, la maggior parte degli investitori risponderebbero l’investimento diretto in oro”, afferma Fernando Luque, analista di Morningstar, in una nota. “Infatti, in molti tengono a mente che nell’ultimo decennio l’oro non solo ha battuto l’equity, ma è stato in grado di fornire rendimenti positivi praticamente ogni anno (in realtà il rendimento in dollari è positivo ogni anno negli ultimi dieci, mentre in euro il rendimento è positivo “solo” 8 anni su 10 ndr)”.
In realtà, la risposta cambia a seconda del periodo temporale scelto. Come dimostra il grafico sottostante, se prendiamo in considerazione gli ultimi 20 anni, e confrontiamo il prezzo dell’oro fisico (London Fix Gold PM) con l’indice del settore delle società estrattive (DJ Global Gold Mining), notiamo come quest’ultimo abbia performato meglio, anche se con una volatilità decisamente più alta.
Fonte: Morningstar Encorr
Se invece analizziamo la situazione recente, i risultati cambiano radicalmente, come evidenziano le tabelle.
Dati al 10 settembre al lordo dell’imposta sui capital gain
Fonte: Morningstar Direct
“Certo, secondo la nostra analisi esiste una correlazione tra il prezzo del bene fisico e i rendimenti azionari delle società del settore”, continua Luque. “Se analizziamo la serie storica mensile degli ultimi 20 anni, la media di questo effetto è pari a 1,6 (ovvero se l’oro sale dell’1% in un mese, il settore minerario sale dell’1,6%; questo vale ovviamente anche per i rendimenti negativi; ndr)”. Bisogna comunque sottolineare che si tratta di una media aritmetica, e che la relazione tra i due indici è decisamente meno lineare. “Non a caso, sui 235 mesi che abbiamo analizzato, in 57 occasioni (quindi il 25%) abbiamo riscontrato nei due benchmark andamenti opposti”. Insomma, è bene ricordare che scegliere una strada piuttosto che l’altra incide molto sul risultato finale.
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