Mettiamoci il cuore in pace: d’ora in avanti si dovrà lavorare più a lungo. Dal primo gennaio di quest’anno è infatti entrata in vigore, tra le altre cose, la riforma previdenziale approvata dal governo Monti. Le novità sono state numerose e molto incisive (per approfondire clicca qui). Per citarne solo alcune: l’età in cui si avrà diritto alla pensione è stata innalzata, è stato applicato il sistema contributivo per tutti, le donne dovranno lavorare quanto gli uomini (per il settore privato, sarà un cambiamento graduale), sono state eliminate le finestre mobili ed è stata rafforzata la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro.
In generale, se da un lato si dovrà lavorare di più, dall’altro si riceverà un assegno più corposo. Ma per meno anni. Così, nel rapporto dare-avere tra i lavoratori e l’Inps, nella maggior parte dei casi a guadagnarci sarà proprio l’ente previdenziale. Detto questo, la riforma non colpisce tutti allo stesso modo. Uno studio Mefop, società per lo sviluppo dei fondi pensione, dimostra infatti che le cose cambiano in base all’età e agli anni di lavoro. E’ stato calcolato, per diverse tipologie di lavoratore, l’indice di penalizzazione o di convenienza nello scenario del dopo riforma.
Prima, ad esempio, un lavoratore dipendente del settore privato, nato nel 1952 con 35 anni di anzianità e con un reddito annuo lordo di 40 mila euro, avrebbe dovuto versare all’Inps ancora 21 mila euro prima di andare in pensione, per ottenere in cambio durante la pensione un totale di 893 mila euro sotto forma di assegni previdenziali. Nello scenario dopo riforma, invece, lo stesso lavoratore dovrà versare nelle casse dell’Inps 34.500 euro in più rispetto a prima, pari a due anni e mezzo di lavoro aggiuntivi, ricevendo assegni durante la pensione per un totale di 867 mila euro. In pratica, sommando i due effetti, questo lavoratore perde 60 mila euro.
La storia cambia se si prende una lavoratrice dipendente del settore privato, nata nel 1965 con 15 anni di anzianità e un reddito annuo di 30 mila euro lordi. In questo caso, infatti, con le nuove norme, la lavoratrice potrà andare in pensione a 65 anni di età, mentre prima avrebbe dovuto aspettare i 68 anni. Questo significa che dovrà versare meno contributi e che riceverà la pensione per tre anni in più. Tuttavia, la sua pensione annua scende da 24.900 a 20.240 euro.
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