Etf sintetici, un anno dopo. Morningstar ha condotto uno studio globale, che aggiorna quello del luglio 2011, per analizzare cosa è cambiato dopo le accuse rivolte a questi strumenti dalle autorità regolamentari e dai media. La buona notizia è che c’è stata un’evoluzione delle pratiche per mitigare il rischio di controparte e un aumento del grado di trasparenza. Rimangono, comunque, degli spazi di miglioramento, in particolare nella frequenza e qualità della disclosure sulla composizione del collaterale o del paniere sostitutivo.
Funded e un-funded
Gli Exchange traded fund (Etf) sintetici utilizzano un derivato (swap) per replicare il rendimento dell’indice di riferimento. Il modello più comune in Europa è quello un-funded, in base al quale l’Etf usa la liquidità degli investitori per comprare un paniere di titoli dalla controparte dello swap che si impegna a restituire la performance del benchmark in cambio di quella dei titoli. Il metodo funded è stato introdotto più recentemente (2009) nel Vecchio continente. In questo caso, il cash viene trasferito alla controparte dello swap (sempre in cambio del rendimento dell’indice). Quest’ultima depone gli asset a copertura dell’operazione in un conto segregato presso terzi. Le autorità regolamentari richiedono, inoltre, che vengano posti margini di tutela contro le fluttuazioni del valore dei titoli e del fatto che il fondo non detiene le attività.
In entrambi i casi, la direttiva Ucits richiede che l’esposizione al rischio di controparte non ecceda il 10% del patrimonio netto, il che significa che almeno il 90% deve essere collateralizzato. Nelle migliori pratiche il 100% è coperto. La ricerca Morningstar ha mostrato che la maggior parte dei fondi ha un ammontare di collaterale uguale o superiore al Net asset value. In particolare, in Europa passi in avanti sono stati fatti da emittenti come Lyxor e Amundi, che in precedenza non erano del tutto collateralizzati. Spesso gli emittenti ricorrono a più controparti dello swap per minimizzare il pericolo di fallimento.
Meno costi
Un altro aspetto è la remunerazione per il rischio addizionale assunto da chi investe in Etf sintetici rispetto a quelli fisici (questi ultimi non hanno la controparte dello swap perché comprano i titoli presenti negli indici replicati). Gli analisti Morningstar hanno scoperto che, in linea generale, questi strumenti offrono una sorta di compensazione attraverso i minori costi di detenzione (o holding cost, sono la somma di spese totali e tracking error) rispetto agli Etf fisici. In altri termini, nel complesso le commissioni sono più basse e la fedeltà di replica maggiore, in particolare nel caso di asset meno liquidi.
Più trasparenza
Per quanto riguarda la trasparenza, grazie alle pressioni dei mesi scorsi, tutti gli emittenti pubblicano la composizione del paniere sostitutivo/collaterale sui loro siti. “La stessa cosa non è stata fatta dagli Etf fisici che operano il prestito titoli”, si legge nel report, nonostante anch’essi sostengano un rischio di controparte.
Nonostante i progressi, esistono spazi ulteriori di miglioramento. Morningstar, in particolare, chiede una disclosure dell’identità della controparte e sull’ammontare dell’esposizione per ciascun fondo (e non un dato complessivo). Questo vale soprattutto se ci sono controparti multiple. Inoltre, la pubblicazione della qualità del credito degli swap provider è utile per un’analisi più accurata, soprattutto ora che l’Europa affronta una grave crisi finanziaria. Si può fare di più anche in relazione alle informazioni sulla marginazione per i funded Etf, non essendoci standard condivisi a livello europeo, e i costi dello swap. Infine, per quanto riguarda le caratteristiche dei titoli da usare come collaterale, gli analisti invitano a privilegiare quelli liquidi e di qualità, ad esempio le blue chip e le obbligazioni investment grade.
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