Le imposte patrimoniali sugli immobili e le attività finanziarie, detenute all’estero da persone fisiche residenti in Italia, sono all’attenzione della Commissione europea, che ha richiesto alcune informazioni al nostro Governo in merito alla disciplina dell’Ivie (Imposta sul valore degli immobili all’estero) e dell’Ivafe (Imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero) introdotta dall’art. 19 del DL n. 201/2011.
Il fondato rischio è che alcuni aspetti delle nuove imposte risultino in contrasto con i principi fondamentali del diritto comunitario.
In particolare, i principi del Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue) che potrebbero risultare violati sono quelli della libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e di circolazione dei capitali.
La premessa necessaria per comprendere meglio ciò che sta accadendo è che le due imposte patrimoniali sui beni posseduti all’estero sono state introdotte, per ammissione dello stesso Governo, per motivi di equità al fine di tassare il possesso di immobili e di attività finanziarie a prescindere dal luogo di detenzione.
Il semplice ragionamento di fondo è che occorre garantire un analogo trattamento fiscale ai beni detenuti in Italia e a quelli detenuti all’estero; e quindi, in estrema sintesi, se in Italia un immobile è assoggettato a Imu (Imposta municipale unica), è opportuno che analoga tassazione riguardi gli immobili detenuti all’estero, così come, se le attività finanziarie detenute in Italia sono assoggettate alla nuova imposta di bollo (art. 13 della Tariffa, parte prima, allegata al DPR n. 642/1972), è opportuno tassare anche quelle detenute all’estero. Partendo da questo presupposto, non può non osservarsi - ed è quello che sta facendo la Commissione Ue chiedendo spiegazioni all’Italia - che, rispetto alla disciplina Imu cui sono soggetti gli immobili che i contribuenti italiani detengono nel nostro Paese, i beni immobili detenuti dagli stessi soggetti in altri Stati dell’Ue o Paesi dello See (Spazio economico europeo) sembrano oggetto di un diverso trattamento fiscale e ciò può determinare profili di potenziale criticità con il diritto europeo.
Gli esempi possono essere molteplici: facciamone alcuni.
La prima questione riguarda l’applicazione temporale: l’Imu si applica a decorrere dal 2012 mentre l’Ivie dal 2011, con un’evidente disparità di trattamento tra chi possiede beni immobili all’estero e chi li possiede sul territorio italiano.
La differenza temporale tra le due date di decorrenza appare difficilmente giustificabile sulla base di ragioni di interesse generale quali definite dalla Corte di Giustizia nella sua giurisprudenza fiscale e può, pertanto, risultare incompatibile con l’esercizio della libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali.
Differenza temporale difficilmente giustificabile
Altra criticità riguarda il fatto che l’Imu sugli immobili non locati (seconde case) è sostitutiva dell’Irpef, mentre l’immobile detenuto all’estero, laddove esistano le condizioni, è tassato ai fini Irpef ai sensi dell’art. 70 del Tuir; e anche tale differenza di trattamento potrebbe violare i suddetti principi comunitari.
E, ancora, per quanto concerne l’abitazione principale, nella misura in cui i soggetti che possiedono una prima abitazione all’estero sono tenuti a versare un’imposta nello Stato ove l’immobile è situato (e il soggetto di fatto domiciliato), per caratteristiche e funzione sostanzialmente analoga all’Imu sull’abitazione principale, sarebbe opportuno - in forza di un principio di mutuo riconoscimento - che tale imposta fosse considerata sostitutiva dell’Ivie dovuta allo Stato italiano.
È verosimile, quindi, che la disciplina delle due imposte patrimoniali possa subire ulteriori modifiche per tener conto dei principi comunitari, cosa che, a onor del vero, il legislatore ha già iniziato a fare.
Ricordiamo, ad esempio, che il criterio di calcolo dell’Ivie, per gli immobili detenuti nella Ue, in Norvegia e in Islanda, basato sul valore catastale aggiornato rilevabile nello Stato di localizzazione è stato introdotto al fine di prevenire censure comunitarie derivanti dalla constatazione di basi imponibili diverse tra l’Ivie e l’Imu, in quanto l’applicazione di metodi di valutazione diversi di un immobile a seconda se si trovi sul territorio nazionale o all’estero è stata condannata dalla Corte di Giustizia come pratica discriminatoria (sentenza del 17 gennaio 2008, C-256/06, Jager).
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