Le politiche monetarie decise dalle due più grandi banche centrali al mondo, la Federal Reserve e la Bce, hanno fatto tornare l’appetito per il rischio agli investitori. Ma i mercati azionari potrebbero non beneficiarne perché, dopo il rally estivo, i gestori sono cauti nell’aumentare l’esposizione alle Borse. Non aiutano il quadro congiunturale e le attese sugli utili, giudicate da alcuni troppo ottimiste. E’ quanto emerge dall’ultimo sondaggio condotto da Morningstar tra le principali società che operano in Italia.
Eurozona tra alti e bassi
Le Borse europee rimangono volatili, nonostante sia aumentata la fiducia degli investitori in una soluzione della crisi. I gestori riconoscono la bontà delle decisioni prese dalla Banca centrale, ma chiedono ai governi di fare la loro parte. In particolare, gli occhi sono puntati su una possibile richiesta di aiuti da parte della Spagna e sulla Grecia, che è di fatto in default. In tale contesto, quasi il 67% degli intervistati prevede un rialzo, percentuale in linea con il mese scorso. I pessimisti invece sono aumentati dal 5,9 al 9,4%.
Dell’allentamento delle tensioni europee dovrebbe beneficiare soprattutto Piazza affari, uno dei mercati più penalizzati dalla crisi. I gestori valutano positivamente le azioni del governo, ma avvertono anche che il rischio politico rimane elevato in vista delle elezioni del prossimo anno.
Usa, in attesa del voto
L’appetito per il rischio non è di casa a Wall Street. I money manager prendono le distanze dal listino americano a causa delle incertezze legate al voto di novembre, al cosiddetto fiscal cliff (contemporanea fine degli incentivi dell’era Bush e tagli alla spesa pubblica) e al quadro macro, che rimane contrastante. Gli Stati Uniti, inoltre, sono entrati nella stagione delle trimestrali e per alcuni le attese sono troppo ottimistiche. Per questa ragione, circa il 43% degli intervistati prevede un’oscillazione degli indici attorno agli attuali livelli (erano il 53% a settembre). Un altro 38% si attende un rialzo, guidato dal proseguimento della politica monetaria espansiva da parte della Fed.
Tokyo, yen troppo caro
La Borsa di Tokyo continua a soffrire la forza dello yen, che zavorra le società orientate alle esportazioni. Un altro fattore critico per queste aziende è il rallentamento globale. A complicare la situazione ci sono le tensioni con la Cina. Gli investitori non mostrano eccessiva preoccupazione al riguardo, ma ritengono che il rischio geopolitico raggorzi l’apatia degli investitori per il Sol levante. Il 57% degli intervistati, quindi, non prevede forti scostamenti delle quotazioni dagli attuali livelli, contro il 24% di ottimisti.
Cina, obiettivo crescita
Shanghai e Hong Kong hanno deluso i gestori negli ultimi mesi e hanno toccato livelli giudicati interessanti. Inoltre, la riduzione dell’avversione al rischio avvantaggia le piazze finanziarie asiatiche. Per queste ragioni il 62% degli intervistati prevede un rialzo delle quotazioni, pur mettendo in guardia sul quadro economico. La crescita cinese, infatti, rimane la principale fonte di preoccupazione.
Bond, test politico
Il ritorno su asset più rischiosi dovrebbe favorire l’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato tedeschi, dal momento che riduce i flussi verso i “porti sicuri”. I prossimi mesi saranno importanti per convincere gli investitori che l’euro non è in discussione, con conseguente diminuzione del rischio politico e aumento dei prezzi dei titoli di Stato periferici, compresi i Buoni poliennali del Tesoro italiani. I money manager non ritengono più giustificato un sottopeso di questi ultimi, ma non sono ancora del tutto pronti a prendere posizioni aggressive.
Negli Stati Uniti, i Treasury sono mossi da forze contrastanti. Da un lato l’annuncio della terza fase di allentamento monetario (Qe3) da parte della Federal Reserve, ha messo sotto pressione i rendimenti, dall’altro le minori tensioni nell’area euro spingono gli investitori a uscire dai titoli considerati privi di rischio (risk free) per andare su altri tipi di obbligazioni, come quelle societarie ed emergenti.
Euro/dollaro senza strappi
A ottobre i gestori confermano la posizione espressa a settembre sul rapporto di cambio tra la divisa comunitaria e il biglietto verde. Più di un intervistato su due prevede l’oscillazione in un intervallo compreso tra 1,20 e 1,30. L’evoluzione positiva della crisi potrebbe già essere stata incorparata dal mercato valutario, per cui l’euro potrebbe patire shock negativi. D’altra parte, però, le politiche monetarie molto simili sulle due sponde dell’oceano non giustificano la preferenza per l’una o l’altra moneta.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra l’1 e l’8 ottobre, 21 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio. Si tratta di Albemarle Asset management, Aletti Gestielle, Amundi, Bnp Paribas AM Sgr, Carmignac Gestion, Convinctions AM, Eurizon Capital Sgr, Ing IM, Invest Banca, Investitori Sgr, La Française des Placements, M&G, Nemesis AM, Pictet AM, Pioneer IM, SCM Sim, Sella Gestioni, Swiss&Global AM Sgr, Threadneedle, Union Bancaire Privéee, VG.SA.
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