Valute che vanno dritto al cuore

Cresce la domanda di divise diverse dall’euro. Quelle emergenti sono un’alternativa tattica, ma per dormire sonni più tranquilli bisogna guardare ai paesi sviluppati fuori dal G4.

Sara Silano 06/12/2012 | 15:37
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Euro e dollaro non sono più le valute “con i muscoli” di un tempo. A togliere le forze è l’elevato livello di debito pubblico su entrambe le sponde dell’oceano, un problema che richiederà tempi ancora lunghi per essere risolto. E’ molto probabile, quindi, che le due divise continuino ad oscillare, anche in modo molto marcato, intorno agli attuali livelli, almeno fino a quando non ci saranno le elezioni in Germania (settembre 2013) e gli Stati Uniti non troveranno una soluzione per evitare il precipizio (fiscal cliff).

Se l’euro fa i capricci
Senza muscoli, euro e dollaro rimangono comunque nel cuore del portafoglio degli investitori. Sono le valute di denominazione dei fondi che investono in azioni e obbligazioni di Eurolandia, degli Stati Uniti o internazionali. Non solo, essendo hard currency, ossia divise “forti”, sono spesso utilizzate per le emissioni dei paesi emergenti. Un investitore europeo può scegliere se mettersi al riparo dal rischio di cambio con il dollaro ed esistono molti comparti che offrono classi coperte. Ma l’esigenza che è emersa negli ultimi anni a causa della crisi del debito sovrano è di proteggersi anche dalle oscillazioni dell’euro, o meglio di diversificare la posizione valutaria.

Per farlo, esistono due vie percorribili. La prima, che ha riscosso una certa popolarità negli ultimi anni, consiste nell’acquistare fondi obbligazionari in valuta locale dei paesi emergenti. La seconda, meno conosciuta, è l’esposizione alle valute “forti” di paesi sviluppati, come il Canada, l’Australia, la Svizzera e il nord Europa.

Solo satelliti
Nel caso degli emergenti, le prospettive di sviluppo sono interessanti, ma la liquidità è limitata, ci possono essere dei vincoli normativi ed è elevata la sensibilità agli umori degli investitori internazionali. Di conseguenza, i fondi di questo tipo possono avere un ruolo satellitare, ma non possono essere la parte centrale o maggioritaria di un portafoglio. In termini tecnici, si dice che sono tattici e non strategici.

L’unione fa la forza
Le valute dei paesi sviluppati, escluso il G4 (Usa, Eurozona, Giappone e Regno Unito), invece, possono ambire ad occupare un ruolo più centrale nel portafoglio. Secondo un’analisi di Ubs global asset management, sulle cosiddette valute commodity, ossia il dollaro canadese, australiano, neozelandese e di Singapore, le divise scandinave e il franco svizzero, alcune presentano finanze in ottima salute, altre conti delle partite correnti stabili o in miglioramento. La maggior parte ha un buon merito di credito e cedole migliori rispetto ai titoli governativi in dollari o euro. Il principale vantaggio, però, come spiega Giovanni Papini, amministratore delegato per l’Italia della casa di gestione svizzera, è la decorrelazione, che si traduce in una migliore diversificazione di portafoglio. Inoltre, la combinazione tra queste divise abbassa la volatilità complessiva rispetto all’euro. In altre parole, se singolarmente queste monete hanno oscillazioni molto diverse tra loro, con punte del 18%, insieme la deviazione standard scende intorno al 6%.

Il paniere delle valute commodity è variegato. Si va dal dollaro australiano, il più influenzato (in positivo e in negativo) dalle dinamiche economiche asiatiche, in particolari cinesi, e dall’andamento delle materie prime minerarie, a quello canadese, correlato con il petrolio (come la corona norvegese) e avvantaggiato in fasi di avversione al rischio. Anche il dollaro neozelandese è dipendente dall’andamento delle risorse naturali, mentre quello di Singapore è più soggetto ai commerci con la regione del Pacifico. E’ fuori dal coro il franco svizzero, che, nonostante offra scarsi rendimenti (la curva dei tassi è a zero), rappresenta la divisa rifugio per eccellenza, in grado di catturare i flussi di capitali in momenti di shock finanziari.

Pericolo estero
Le valute commodity hanno i numeri per entrare nel “cuore” del portafoglio, ma presentano anche alcuni fattori di rischio, tra cui la maggior ciclicità intrinseca e la sensibilità alle fasi di avversione al rischio. Inoltre, non hanno la stessa liquidità delle monete del G4 e nella maggior parte dei casi sono sopravvalutate. Recentemente, il Fondo monetario internazionale ha cominciato a porre l’attenzione sul rischio delle partecipazioni straniere sui mercati obbligazionari dei paesi emergenti, ma il discorso vale anche per l’Australia, dove la corsa ai titoli governativi ha creato una pericolosa dipendenza dagli umori degli investitori internazionali.

 

Per approfondire il tema valutario, leggi l’articolo “Valute con i muscoli” su Morningstar Investor.

 

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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