Le materie prime continuano a regalare soddisfazioni agli investitori. L’indice S&P del settore nell’ultimo mese (fino al 3 marzo e calcolato in euro) ha guadagnato il 3,4%. A spingere le quotazioni delle commodity sono due elementi. Da una parte la volatilità del dollaro che, nonostante i recuperi delle ultime settimane resta ancora debole, e che sta stimolando la richiesta di asset come le risorse naturali, tradizionalmente denominate in valuta americana. A questo si aggiungono le speranze di ripresa dell’economia mondiale che, nonostante lo shock greco, dagli analisti vengono considerate intatte.
In questo scenario il petrolio è arrivato a quotare 80 dollari al barile. Il farro e il granoturco trattati al Chicago Board of Trade con scadenza maggio hanno superato rispettivamente i 5mila e 3.800 dollari a bushel (unità di misura corrispondente a circa 20 chili di prodotto). Le previsioni parlano di una tenuta delle materie prime. “Per quanto riguarda il petrolio stiamo assistendo a un assestamento delle riserve”, spiega una nota di Jeremy Glaser, analista di Morningstar. “La situazione, in questo senso potrebbe peggiorare con l’arrivo della cosiddetta driving season (quando gli americani si muovono per le vacanze estive, da fine maggio a settembre, ndr)”.
Secondo uno studio della National Australian Bank, il greggio potrebbe arrivare a 83 dollari al barile, riavvicinandosi ai massimi toccati a gennaio (quando aveva fatto segnare il record da 14 mesi). Il brent, intanto, muove intorno ai 78 dollari (scadenza aprile).
Per quanto riguarda i prodotti agricoli, si aspettano le indicazioni che arriveranno il 10 marzo dal Dipartimento dell’agricoltura Usa. In quell’occasione si avrà la misura esatta di quanto ammontano le riserve prima del periodo del raccolto. Secondo uno studio della società di consulenza Allendale potrebbero arrivare a 966 milioni di bushel contro i 681 milioni previsti a febbraio. Rivista al ribasso anche la scorta a livello mondiale (da 195,9 milioni a 195,6 milioni).
Dal punto di vista operativo, gli operatori consigliano di tenere una parte del portafoglio esposto alle materie prime, sia attraverso l’utilizzo di Etc (Exchange traded commodities) o con un investimento nelle società del settore. “Le nostre analisi nel corso degli anni hanno dimostrato che conviene avere almeno il 5% del capitale investito nelle materie prime”, spiega Glaser. “Bisogna però avere i nervi saldi. Si tratta di uno strumento per sua natura molto volatile che può spaventare sul momento, ma che nel lungo termine aiuta le performance di portafoglio”.
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